La ripresa dei “colloqui di pace” tra Russia e Ucraina nella giornata di mercoledì è stata anticipata da tensioni quasi senza precedenti negli ultimi tre anni e mezzo all’interno del regime di Zelensky, evidentemente in conseguenza della posizione sempre più precaria di Kiev sul fronte militare e del rallentamento dei trasferimenti di armi dall’Occidente. Se i risultati del nuovo round di negoziati a Istanbul saranno tutti da verificare, le iniziative del “presidente” ucraino di questa settimana contro gli organi anti-corruzione nominalmente indipendenti dell’ex repubblica sovietica, assieme al precedente rimpasto di governo, rivelano il tentativo disperato di evitare il tracollo del regime sotto la spinta dell’avanzata delle forze russe sul campo.

Gli eventi e le notizie che arrivano dall’Ucraina devono essere come sempre messi attentamente in relazione alle modalità con cui vengono raccontati dalla stampa ufficiale in Europa e negli Stati Uniti. È significativo in questa prospettiva che praticamente tutti i principali media occidentali tra martedì e mercoledì abbiano dato ampio rilievo, e in termini in larga misura favorevoli, alle proteste esplose in molte città ucraine contro la legge appena approvata sui già ricordati uffici che si dedicano alla lotta contro la corruzione.

Su iniziativa di Zelensky e del suo partito, il parlamento di Kiev ha votato un provvedimento che mette sotto il controllo della Procura Generale, il cui vertice è di nomina presidenziale, l’ufficio investigativo anti-corruzione (NABU), coinvolto nei casi che riguardano esponenti politici e dell’apparato statale di alto livello, e quello del procuratore speciale (SAPO) che istruisce appunto i casi di corruzione. Questo sistema parallelo alla giustizia ordinaria era stato creato dopo il colpo di stato di Maidan del 2014 su indicazione degli sponsor occidentali del nuovo regime, ufficialmente per dare a quest’ultimo una facciata democratica. In odore di incostituzionalità fin dall’inizio, questo meccanismo è considerato da molti in Ucraina come uno strumento di pressione occidentale sulle dinamiche interne al regime e, oltretutto, è stato ben preso esposto anch’esso alla penetrazione di pratiche corruttive e oggetto di contese tra le diverse sezioni dell’apparato di potere.

Sta di fatto che Zelensky e la sua cerchia hanno deciso di agire in fretta e furia per mettere sotto il controllo diretto della presidenza una delle poche istituzioni statali ritenute ancora indipendenti. L’ex comico televisivo ha evidenziato scarsa originalità nello spiegare le ragioni dell’iniziativa, riconducendola prevedibilmente alle infiltrazioni russe nei due uffici anti-corruzione. L’aspetto singolare della questione è che il presidente russo Putin, poco prima del lancio delle operazioni militari nel febbraio 2022, aveva affermato che NABU e SAPO erano sotto il controllo diretto dell’ambasciata degli Stati Uniti a Kiev. Anche alcuni esponenti politici dell’opposizione ucraina hanno confermato questa versione nell’esprimere il loro appoggio alla legge accentratrice di Zelensky. La ex premier Yulia Tymoshenko ha ad esempio puntato il dito contro i due uffici perché strumenti di controllo sull’Ucraina nelle mani dell’Occidente.

La nuova legge è stata introdotta e fatta approvare con una procedura velocissima dovuta probabilmente all’altrettanto rapido stringersi del cerchio delle indagini su episodi di corruzione riguardanti esponenti di spicco del governo, tra cui l’appena rimosso – o trasferito – ministro della Difesa, Rustem Umerov. Secondo alcune voci, anche Zelensky era da qualche tempo oggetto di interesse dell’ufficio investigativo anti-corruzione. Anche la stampa ufficiale in Occidente ha in genere evidenziato la natura strumentale delle accuse di infiltrazioni russe. La testata on-line Politico ha scritto ad esempio che “alcune voci critiche [del regime] sostengono che le prove contro i funzionari del NABU sono dubbie e gli arresti un pretesto per indebolire le [due] agenzie indipendenti”.

Questi segnali sono tutt’altro che confortanti per Zelensky, anche perché si aggiungono alle critiche generalizzate provenienti dall’establishment europeo e americano contro la legge appena approvata. La Commissione Europea, così come altri leader più che disposti in questi anni a chiudere gli occhi davanti all’evoluzione dittatoriale del regime di Kiev, si è detta “seriamente preoccupata” per il voto del parlamento di Kiev, mentre sui social media si sono diffusi in fretta i post di denuncia scritti da politici e commissari europei.

È ipotizzabile che Zelensky abbia proceduto in questo modo nonostante i rischi poiché vedeva nelle istituzioni “indipendenti” per la lotta alla corruzione una minaccia diretta contro sé stesso. Va ricordato che solo qualche giorno fa il veterano giornalista investigativo americano Seymour Hersh aveva rivelato in un articolo sul suo spazio ospitato dalla piattaforma Substack che sono in corso manovre a Washington e a Kiev per rimuovere Zelensky dal suo incarico, peraltro scaduto a maggio 2024. Queste trame, secondo le fonti non necessariamente incontestabili di Hersh, sono da collegare alle frustrazioni di molti in America e in Ucraina per le difficoltà nel trovare un accordo che metta fine alla guerra con la Russia.

In questo scenario, quella di Zelensky contro gli uffici anti-corruzione ha tutta l’aria di una mossa diretta contro gli Stati Uniti, dove la pazienza per l’ex comico sembra essere agli sgoccioli. Allo stesso tempo, i cambiamenti sostanziali nel suo governo decisi settimana scorsa sono stati interpretati da molti come un tentativo di rinsaldare i rapporti con l’amministrazione Trump, quasi ad assicurarsi mano libera nel muovere contro le autorità anti-corruzione. Il nuovo primo ministro, Yulia Svyrydenko, nella sua precedente posizione di ministro del commercio e dello sviluppo economico aveva svolto un ruolo cruciale nel rimettere in carreggiata l’accordo sullo sfruttamento delle risorse minerarie ucraine sottoscritto tra Kiev e Washington. Zelensky ha anche rimosso l’ambasciatrice negli USA, Oksana Markarova, che alcuni leader repubblicani avevano aspramente criticato per i suoi legami con la precedente amministrazione democratica.

Il “presidente” ucraino resta comunque al centro di un’accesissima contesa per il potere sul fronte interno, alimentata dalla costante avanzata russa e dal pericolo di un crollo definitivo delle linee di difesa delle forze ucraine. È chiaro che su queste contese influisce anche la posizione della Casa Bianca, il cui recente annuncio sulla ripresa delle forniture di armi a Kiev e la minaccia di sanzioni contro Mosca, nel caso non ci fosse un accordo di pace entro 50 giorni, si stanno rivelando una vera e propria beffa per il regime ucraino.

Le proteste contro la firma di Zelenky sulla legge che svuota di poteri le due agenzie anti-corruzione potrebbero così trasformare questa iniziativa in un boomerang, compattando l’opposizione interna e gli alleati in Occidente contro l’ex comico, vista anche l’estrema imprevedibilità di Donald Trump. Le sorti della crisi ucraina restano in ogni caso legate per il momento sempre alle vicende belliche, con Mosca che manda segnali indiretti di un possibile avvio di quella che potrebbe essere la fase finale delle operazioni militari.

Resta da vedere se e quali effetti avranno le recenti vicende sulle posizioni di Kiev nei negoziati con la Russia iniziati mercoledì, se cioè ci saranno modifiche alla linea dura ostentata finora malgrado la disastrosa situazione sul campo o se inizierà a farsi strada l’idea che prima o poi sarà inevitabile iniziare a mostrare una qualche flessibilità.

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