La portata degli attacchi terroristici ucraini in territorio russo è certamente degna di nota, pur avendo raggiunto un obiettivo minimo rispetto a quello che raccontano i propagandisti ucraini, fonte di milioni di bugie in tre anni di guerra. Non sono 41 ma 4 gli aerei colpiti e solo due distrutti dall’attacco dei droni sugli aeroporti russi. La farneticante teoria apparsa sui media italiani circa la sostanziale distruzione del dispositivo strategico delle forze armate russe è degna di un fumetto di fantascienza. Non a caso è ospitata, appunto dal gruppo Gedi, Caltagirone e dal Corsera, inesauribili fonti di palle continue sul conflitto in Ucraina, sulla sua genesi, storia e cronache militari, che li rendono simili ai fogli distribuiti nelle curve degli stadi a sostegno del tifo organizzato.

La Russia dispone non solo di un numero di bombardieri decisamente più elevato (circa 80) ma, soprattutto, le 1918 testate nucleare pronte al lancio sono allocate su basi militari, sommergibili atomici, aerei da combattimento e piattaforme mobili. Insomma sotto il profilo della operatività militare l’attacco subito è decisamente poca cosa, mentre riveste notevole importanza ciò che lo ha permesso.

Ci si riferisce, naturalmente, al contributo NATO diretto per l’operazione ucraina. Il motivo per il quale gli aerei sono stati colpiti è perché stando al Trattato Start-2, i bombardieri strategici sia russi che statunitensi devono essere visibili e all’aria aperta ed a coordinate comunicate reciprocamente per permettere le ispezioni attraverso i rilevamenti satellitari che rappresentano la verifica del mantenimento degli accordi. Ovviamente tanto i russi come gli statunitensi conservano sotterraneamente la parte più importante della loro riserva strategica, ma questo spiega come sia stato possibile per gli ucraini, che riescono con fatica a scovare i disertori in casa, figuriamoci riuscire a colpire gli aerei russi fino in Siberia.

Per questo, per il coinvolgimento diretto e attivo della NATO, unica a poter conoscere l’esatta ubicazione dei cacciabombardieri per via del Trattato Salt-2, l’innesco di una fase nuova della guerra è oggettivamente una possibilità sul tavolo del Consiglio di Sicurezza Russo convocato da Putin.

Da parte di tutte le persone di buon senso e dei paesi che, più che “volenterosi” si definiscono responsabili, vi è in queste ore il fondato timore circa il livello della risposta russa agli attacchi terroristici ucraini. Perché che la risposta russa ci sarà e che sarà di inedita durezza non possono esserci dubbi: nemmeno la centralità del tavolo negoziale di Istanbul, che presenta la possibilità della soluzione politico-diplomatica al conflitto (obiettivo da sempre dei russi e da sempre rifiutato dall’Occidente che dirige l’Ucraina) è sufficiente a lasciar passare l’accaduto archiviandolo come un’azione di guerra tra le altre, tipo sabotaggio del North-Stream o del ponte di Crimea. Questa volta la risposta russa sarà devastante per l’Ucraina.

Ma si può legittimamente ipotizzare che non sarà una risposta con l’utilizzo di testate nucleari. E non perché non sarebbe legittimata dalla Dottrina di Sicurezza Nazionale Russa, ma perché non è nell’interesse di Mosca. In assenza di un attacco massiccio contro la Russia risulterebbe a buona parte del mondo ingiustificabile. Sarebbe, oltre che una tragedia, un salto enorme nella concezione delle relazioni internazionali della Russia, perché la renderebbe, al pari degli USA, l’unica potenza nucleare che ha usato l’atomica nei confronti di un paese e della sua popolazione civile. Comporterebbe conseguenze sia per la reputazione e per l’immagine della Russia che per la sua indiscussa leadership politica sul Sud del mondo, più in particolare sui BRICS. In un certo senso, passerebbero a questione minore le ragioni che l’hanno costretta ad intervenire con l’Operazione Militare Speciale a fermare l’avanzata della NATO verso la Russia ed il tentativo di circondarla per poi colpirla; si ridurrebbe, insomma, la solidarietà di quel 75% dei paesi membri della comunità internazionale che hanno rifiutato le sanzioni e l’isolamento verso Mosca richiesti con forza da USA e UE attraverso promesse, pressioni e minacce, tutte inutili alla fine.

Per questo insieme di ragioni, che si aggiungono a quella principale - ovvero evitare fin dove possibile una guerra diretta con la NATO - è dunque difficile credere che la Russia risponderà all’attacco subito con sistemi d’arma nucleari.

Ma se l’obiettivo della NATO era quello di far sedere l’Ucraina al tavolo di Istanbul con maggior peso militare, insomma se si pensava con questi attacchi di migliorare la posizione di Kiev al negoziato, si è ottenuto l’effetto contrario. Ora Mosca non tratterà nemmeno un metro e il memorandum consegnato agli ucraini e agli osservatori (tra i quali l’Italia) reitera con nettezza le rivendicazioni politiche, militari e territoriali russe, dimostrando come i sospetti sull’utilizzazione dell’Ucraina in funzione di aggressore proxy della Russia siano sempre stati giustificati ed oggettivamente certi.

Il comunicato finale della riunione dimostra come il procedere delle trattative si svolga esattamente come i russi avevano richiesto. E il clima di terrore che si respira nelle case ucraine per l’attesa della risposta russa è solo l’inizio. Se si voleva convincere Washington di continuare a sostenere oltre ogni possibilità la guerra con la Russia, sarà proprio la reazione russa a mettere Washington con le spalle al muro: o la distensione con Mosca e l’abbandono dei fanatici europei, o lo scontro finale per salvare l’estensione ad Est della NATO. E se portare il mondo sulla soglia dell’olocausto nucleare è comunque una follia, farlo per Zelensky e per portare le aziende militari ai vertici delle Borse appare decisamente stupido.

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