Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha respinto ufficialmente domenica qualsiasi negoziato diretto con gli Stati Uniti, rispondendo a una lettera inviata da Donald Trump il 12 marzo scorso attraverso la mediazione degli Emirati Arabi. Tuttavia, Pezeshkian ha lasciato aperta la porta a “colloqui indiretti”, subordinati al comportamento di Washington. “L’Iran non si è mai sottratto al dialogo, ma sono le promesse non mantenute dell’altra parte ad avere eroso la fiducia”, ha dichiarato il presidente della Repubblica Islamica durante un incontro governativo, sottolineando che Teheran “valuterà le azioni concrete americane prima di qualsiasi ulteriore passo”. 

La risposta iraniana, riportata dall’agenzia ufficiale IRNA, ha dato subito l’occasione a Trump di rilanciare con un nuovo ultimatum. In un’intervista telefonica alla NBC, il presidente americano ha minacciato “bombardamenti come non se ne sono mai visti” e l’imposizione di “dazi secondari”, ovvero sanzioni extraterritoriali contro chi commercia con l’Iran, se Teheran rifiuterà un accordo sul nucleare. “Se non trattano, li bombardiamo. Punto”, ha dichiarato il presidente americano, ignorando platealmente il recente rapporto dei servizi segreti USA, che smentisce qualsiasi intento iraniano di costruire armi atomiche. 

Le minacce di Trump, per alcuni osservatori, continuano però ad apparire come uno strumento negoziale piuttosto che un reale piano d’azione, alla luce anche di un documento segreto del Dipartimento della Difesa ottenuto e pubblicato nel fine settimana dal Washington Post. Il memorandum, intitolato “Interim National Defense Strategic Guidance”, identifica nella Cina “l’unica minaccia prioritaria” per gli USA e relega Russia, Iran e Corea del Nord a questioni da delegare agli alleati. In particolare, il testo ordina all’esercito di concentrarsi esclusivamente su uno scenario di emergenza: “impedire a Pechino di conquistare Taiwan”.

La rivelazione ha più di una implicazione sulla vicenda iranian. Se il Pentagono considera la Cina l’unico avversario globale, perché Trump insiste nel minacciare Teheran? Le ipotesi più credibili sono due. La prima è che si tratti di una mossa per placare i falchi interni “neocon” e la lobby filo-israeliana, garantendosi al contempo una via d’uscita diplomatica. L’altra che potrebbe essere una strategia per indebolire l’asse Teheran-Mosca-Pechino, senza impegnarsi in un conflitto aperto che distoglierebbe risorse dallo scontro con la Cina. 

Teheran, dal canto suo, sembra aver colto la contraddizione. Pezeshkian ha ribadito che “le minacce non funzioneranno” e ricordato che l’Iran “ha già risposto militarmente agli attacchi israeliani nell’ottobre 2023”. Allo stesso tempo, ha evitato di chiudere definitivamente il dialogo, consapevole che Trump potrebbe usare la crisi come diversivo per giustificare una nuova escalation di sanzioni. 

Ma il vero nodo è rappresentato dai tempi. Trump ha imposto all’Iran una scadenza di due mesi per trattare, mentre nella super-strategica isola del Pacifico Diego Garcia sono stati inviati due bombardieri B-2, teoricamente in preparazione di una possibile operazione militare contro la Repubblica Islamica. Tuttavia, se il Pentagono è davvero concentrato su Taiwan, un attacco contro l’Iran sarebbe una sorta di suicidio strategico, logorerebbe infatti le forze USA, aprirebbe un secondo fronte in Medio Oriente e regalerebbe a Pechino e Mosca l’occasione per consolidare alleanze. 

Mentre i think tank “neocon”, come il Washington Institute for Near East Policy, spingono per “azioni preventive”, persino alcuni degli uomini di Trump, come il vicepresidente J.D. Vance, mettono in guardia da una guerra con l’Iran che sarebbe “un pozzo senza fondo”. L’analista Trita Parsi ha osservato che “Trump vuole un accordo, ma i falchi vogliono la resa incondizionata dell’Iran”, una richiesta impossibile da accettare per qualsiasi leadership iraniana. 

La partita si giocherà dunque nei prossimi 60 giorni. Se Trump cederà alla pressione dei falchi, rischierà di trascinare gli USA in un conflitto rovinoso. Se invece opterà per una tregua temporanea, la crisi iraniana potrebbe rivelarsi per quello che è realmente, un diversivo per confondere le acque in preparazione della vera guerra, quella contro la Cina. 

Intanto, il mercato del petrolio potrebbe letteralmente impazzire, perché un attacco contro l’Iran provocherebbe la quasi certa risposta militare di Teheran, da dove è già arrivata la minaccia di azioni in grado di azzerare l’export petrolifero mediorientale. E Israele, con Netanyahu convinto di avere a portata di mano l’occasione definitiva per chiudere i conti con la Repubblica Islamica, che potrebbe anche decidere di agire in autonomia, costringendo Trump a intervenire. In attesa dei prossimi sviluppi e della scadenza dell’ultimatum della Casa Bianca, quello che resta per il momento è la solita, pericolosa ambiguità del presidente americano.

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