Gli attacchi aerei sullo Yemen di quella che è diventata a tutti gli effetti la prima vera guerra americana del secondo mandato alla presidenza di Donald Trump sono proseguiti nelle prime ore della giornata di lunedì, nonostante l’autentica strage di civili registrata nel fine settimana. L’operazione riprende la fallimentare campagna avviata dalla precedente amministrazione democratica ed è collegata sia alle manovre di Israele per sabotare la tregua in vigore e strangolare la popolazione palestinese a Gaza sia all’escalation del confronto tra Iran e Stati Uniti.

Lunedì è stato il governatorato di Hodeidah a essere colpito con almeno due incursioni USA. Tra sabato e la mattina di domenica era toccato invece alla capitale Sana’a e ad altre località della parte del paese controllata dal movimento Ansarallah (“Houthis”), di fatto la componente più attiva dell’asse della Resistenza, assieme a Hezbollah, nel combattere il genocidio palestinese dopo i fatti del 7 ottobre 2023. I bombardamenti del fine settimana, secondo fonti yemenite, hanno fatto almeno 53 vittime e oltre 100 feriti, incluse donne e bambini, come hanno confermato le drammatiche immagini girate negli ospedali e nelle strade della capitale del paese della penisola arabica.

L’amministrazione Trump ha annunciato, senza il supporto di una sola prova, che gli attacchi avrebbero preso di mira ed eliminato un numero imprecisato di leader di Ansarallah, ma le testimonianze provenienti dallo Yemen hanno al contrario confermato quello che è stato con ogni probabilità l’ennesimo blitz alla cieca che ha interessato in larga misura, se non interamente, obiettivi civili. È parere diffuso infatti che l’arsenale militare degli Houthis sia ben protetto dentro installazioni sotterranee e nelle aree montuose del paese e, comunque, l’intelligence a disposizione degli Stati Uniti e dei loro alleati sui movimenti e le armi del governo guidato da Ansarallah è notoriamente poco affidabile.

Dalle dichiarazioni del consigliere per la sicurezza nazionale del presidente, Mike Waltz, è sembrata trasparire questa realtà con cui anche l’amministrazione Biden aveva dovuto fare i conti. Waltz ha citato esplicitamente l’ex presidente democratico per paragonare le fallimentari operazioni militari di quest’ultimo con il presunto successo degli attacchi delle scorse ore. L’attuale inquilino della Casa Bianca si è sentito in altre parole sotto pressione per dimostrare il cambio di passo relativamente allo Yemen, mentre la situazione militare appare invece caratterizzata dalle stesse problematiche incontrate dall’amministrazione Biden. Nessuna parola è stata spesa come previsto per la natura illegale dell’attacco, lanciato in assenza di una minaccia concreta contro gli Stati Uniti e senza un mandato del Congresso di Washington, secondo quanto previsto dalla Costituzione americana.

Come nei mesi scorsi, la mossa di Trump provocherà anche in questo caso una reazione da parte di Ansarallah, i cui leader hanno subito promesso una risposta più incisiva. Va peraltro sottolineato che l’attacco americano non è stato ordinato a seguito di attacchi dallo Yemen contro imbarcazioni israeliane o di altri paesi. Il lancio di missili ordinato da Trump, che aveva oltretutto da poco reinserito Ansarallah nella lista delle organizzazioni terroristiche, è un’operazione preventiva da collegare all’annuncio degli “Houthis” circa la reintroduzione del divieto di passaggio di navi israeliane nel Mar Rosso, nel Mare Arabico, nel Golfo di Aden e attraverso lo stretto di Bab al-Mandeb, pena il rischio di un attacco missilistico.

Ansarallah aveva cessato queste azioni dopo l’entrata in vigore della tregua a Gaza lo scorso gennaio, ma la minaccia di riprendere gli attacchi mirati era stata agitata nuovamente dopo lo stop da parte del regime di Netanyahu all’ingresso di aiuti umanitari nella striscia. Scaduto settimana scorsa l’ultimatum di quattro giorni imposto a Israele per consentire la consegna di aiuti ai palestinesi, come previsto dal cessate il fuoco, le forze armate dello Yemen avevano appunto dichiarato l’imminente ripresa delle ostilità contro lo stato ebraico.

L’atteggiamento criminale di Israele e i missili americani hanno così provocato un attacco nella prima mattinata di domenica da parte di Ansarallah contro la nave da guerra USA “Harry Truman”. Secondo la leadership yemenita, sono stati lanciati 18 missili balistici e da crociera, assieme ad alcuni droni, che però, secondo fonti del Pentagono, sarebbero stati tutti abbattuti prima di raggiungere i loro obiettivi.

Ciò che segna in effetti un cambio di passo rispetto all’era Biden è l’aperta minaccia lanciata da Trump all’Iran, collegato direttamente alle operazioni di Ansarallah. Il presidente americano ha prospettato attacchi contro la Repubblica Islamica se le forze yemenite dovessero continuare a colpire gli interessi di Israele o degli stessi Stati Uniti. I toni ultra-aggressivi del post pubblicato da Trump sul suo social network Truth non hanno fatto che provocare una ferma risposta da Teheran. Il comandante dei Guardiani della Rivoluzione, generale Hossein Salami, ha respinto la tesi che sia l’Iran a dettare le politiche di Ansarallah, mentre è stato ribadito il concetto che un attacco di USA o Israele sarà seguito da una ritorsione “devastante”.

Le azioni – minacciate o portate effettivamente a termine – da parte di Ansarallah sono in ogni caso del tutto legittime. Esse dipendono interamente dalla violenza genocida di Israele e, sia Biden che Trump, invece di adoperarsi per fermare la strage di palestinesi a Gaza o costringere Netanyahu a rispettare i termini della tregua che ha firmato con Hamas e favorire un allentamento delle tensioni in tutto il Medio Oriente, hanno scelto di assecondare e proteggere il regime sionista, scatenando un altro fronte di guerra nella regione con gli attacchi contro lo Yemen.

Oltre e più ancora della questione della “libertà di navigazione” nel Mar Rosso, al centro dell’interesse della Casa Bianca c’è quindi la difesa di Israele, la cui lobby continua ad avere una totale ipoteca sulla classe politica americana. La strategia di Trump rischia tuttavia di finire molto male. L’ex analista della CIA e blogger Larry Johnson ha spiegato nel fine settimana come Trump “apparentemente creda che Biden doveva solo intensificare i bombardamenti [contro lo Yemen] per costringere gli Houthis alla resa”.

Ovvero, l’operazione “Prosperity Guardian”, lanciata da Biden contro Ansarallah assieme a una manciata di alleati, sarebbe fallita, secondo Trump, perché gli USA non erano stati abbastanza duri nel colpire lo Yemen. In realtà, gli attacchi americani si erano a poco a poco diradati perché non avevano dato risultati, vista la già ricordata carenza di informazioni esatte sui movimenti e le armi di Ansarallah, e perché le forze armate yemenite avevano evidenziato un certo successo nell’abbattere i costosissimi droni americani e nel colpire le navi da guerra di Washington. Alla fine, era stato il cessate fuoco tra Hamas e Israele a fermare Ansarallah e non l’operazione militare promossa da Biden.

Come già ricordato, l’attacco di questi giorni autorizzato da Trump si collega anche alla disputa sul nucleare iraniano. Più precisamente, le minacce rivolte a Teheran chiariscono come Washington consideri qualsiasi azione militare di Ansarallah come responsabilità della Repubblica Islamica. Da ciò di evince che un eventuale attacco yemenita andato a buon fine contro una nave da guerra americana o un obiettivo israeliano verrebbe sfruttato dalla Casa Bianca come un casus belli per attaccare l’Iran.

Come sempre con Trump, risulta difficile capire dove finisca la tattica negoziale e dove inizi la reale minaccia di un’azione militare. A fare da sfondo alla riesplosione della crisi nello Yemen c’è il confronto con Teheran sulla possibile riapertura dei negoziati per arrivare a un nuovo accordo sul programma nucleare iraniano. Nei giorni scorsi, Trump aveva recapitato a Teheran, tramite gli Emirati Arabi, una lettera in cui appunto si diceva disposto a negoziare. Allo stesso tempo, però, la sua amministrazione ha imposto ulteriori sanzioni punitive per cercare di “azzerare” l’export di petrolio iraniano.

Trump ha anche probabilmente valutato con apprensione la recentissima esercitazione militare congiunta tra Iran, Russia e Cina al largo delle coste iraniane, così come il vertice del 14 marzo a Pechino tra i rappresentanti dei tre paesi per discutere di un piano comune in caso di rilancio del processo diplomatico incentrato sul programma nucleare di Teheran. La minaccia di colpire direttamente obiettivi in territorio iraniano potrebbe essere dunque anche il riflesso di questi recenti “successi” diplomatici della Repubblica Islamica.

Più ancora, la questione che ritorna nelle iniziative della nuova amministrazione repubblicana è il tentativo di convincere l’Iran a mettere sul tavolo lo sganciamento dai propri alleati regionali in cambio di un accordo con Washington. Una richiesta, quella degli Stati Uniti, che si collega ancora una volta agli interessi di Israele, oltre che ai propri, ma che rischia seriamente di produrre l’effetto contrario, precipitando il Medio Oriente in una guerra generalizzata. Anche perché Ansarallah, come hanno dimostrato gli eventi degli ultimi anni, non intende piegarsi né cessare le operazioni militari contro USA e Israele senza lo stop al genocidio palestinese, indipendentemente dalle decisioni che verranno prese a Teheran.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy