A sentire le trombe della propaganda europea, pare che la guerra in Ucraina sia appesa solo alla disponibilità di Putin di aderire o no alla richiesta di cessate il fuoco proposta da Trump e Zelensky, il primo per togliersi di mezzo il secondo e le sue questue, il secondo per ordine del primo senza cui il suo regime durerebbe forse 15 giorni.

Trump naturalmente vuole arrivare ad un punto dove la precedente amministrazione si è ben guardata dall’avventurarsi e gli interessa anche solo far finta di confermare quanto detto prima della sua elezione circa la sua capacità di fermare la guerra rapidamente. Putin, com’è ovvio prima che giusto, nel premettere che la Russia non è contraria a far tacere le armi, ha sostanzialmente chiesto di precisare meglio in cosa consisterebbe ed a cosa servirebbe questa tregua, trattandosi di una paginetta di buone intenzioni priva di qualunque proposta operativa.

Per la tregua sarebbe bene specificare di che durata e chi e cosa coinvolge: belligeranti o anche alleati? Operazioni militari o anche riorganizzazione dei reparti? Invio di armi? E, in aggiunta: chi dovrebbe vegliare sul mantenimento effettivo della tregua? I duemila chilometri di frontiera comune da chi sarebbero sorvegliati? Con quale mandato? E quali entità statuali, quali figure istituzionali siglerebbero la tregua?

Sono punti decisivi per stabilire lo spessore e la credibilità della proposta, al di fuori dei quali c’è solo l’etimologia. Se invece si vuole entrare nel merito concettuale della stessa, si deve tenere a mente che da sempre la tregua la chiede chi ne ha convenienza a farlo, e da sempre le condizioni della stessa le fissa chi deve accettarla, perché chiede tregue chi perde, non chi vince.

Ora la domanda è: cosa guadagnerebbe la Russia da una tregua? Nulla, anzi rallenterebbe la sua offensiva vittoriosa e riconoscerebbe un potere di firma ad un governo ed un presidente ucraini scaduti e quindi privi di legalità. Cosa ne guadagnerebbe Zelensky? Molto, a partire dal concedere respiro al suo esercito allo sbando e al ridarsi una centralità di ruolo che la cacciata dalla Casa Bianca gli ha tolto. In pratica Trump lo ha tenuto in vita solo per fargli firmare la cessione delle aziende minerarie e dei diritti di sfruttamento, fornendogli in cambio l’assicurazione che la Russia non attaccherà una volta firmata la pace.

Nonostante ciò Putin ha già dichiarato come la tregua richiesta da Kiev possa essere di per sé una buona notizia, ma non è detto che sia praticabile se non si definiscono attori, mandato, limiti da osservare e cammino da intraprendere, dal momento che il benestare ad una tregua senza aver chiaro il percorso di pace sarebbe solo un time-out a favore di Kiev.

La disponibilità da parte russa a discutere l’applicazione della tregua dimostra volontà distensiva, visto che Mosca non ha nessun interesse ad interrompere le operazioni militari, anzi. E due sono i territori che preoccupano in particolare Washington, che ha già dati per persi i territori ucraini conquistati dai russi: Odessa e il Kursk.

Per la prima c’è il timore che sia il prossimo obiettivo dell’avanzata russa ed è chiaro che la sua conquista priverebbe Kiev dell’unico sbocco al Mar Nero. Persa Odessa, situata a 435 km da Kiev, l’Ucraina diverrebbe un pezzo di terra senza sbocchi al mare e la sua capacità di export (ad esempio del grano che arriva al 95% in Europa e al 5% in Africa, come anche delle future estrazioni minerarie USA) verrebbe stroncata. Se si considera che la Polonia attende la fine del conflitto per rivendicare la Galizia, l’Oblast nord occidentale di Leopoli, si capisce bene come l’Ucraina che verrà non abbia particolare valore nel sistema geopolitico internazionale.

Altro discorso riguarda la regione russa di Kursk, che Kiev aveva ritenuto di poter invadere per poterla poi barattare al tavolo dei negoziati con quelle ucraine. L’operazione era stata considerata una idiozia militare da tutti gli analisti di Difesa, perché distoglieva decine di migliaia di soldati dalla linea del fronte in Donbass (dove infatti i russi sono avanzati ancor più rapidamente fino ad occupare l’intera linea di frontiera) per portare un attacco che sarebbe stato presto respinto e poi circondato e annientato. Ma è proprio la liberazione di Kursk e la penetrazione in un nuovo oblast ucraino delle truppe di Mosca che preoccupa Trump, al punto che ha personalmente chiesto a Putin di risparmiare la vita dei soldati ucraini presenti nella zona e circondati dalle truppe russe.

Lo ha chiesto perché ne muoiono a centinaia ogni giorno che passa? No. Il motivo risiede probabilmente nell’identità di buona parte dei militari ucraini ora circondati: le fonti di intelligence russe sostengono che vi sia una massiccia presenza di militari NATO travestiti da mercenari ed è per questo che Putin ha ricevuto la preghiera di risparmiarli. E’ chiaro cosa rappresenterebbe la scoperta di militari NATO partecipando direttamente ai combattimenti a terra: stabilirebbe una volta per sempre come abbia avuto ragione il Cremlino a parlare di guerra della NATO per procura ucraina contro la Russia e, di conseguenza, non si potrebbe più parlare solo di sconfitta dell’Ucraina ma di sconfitta della NATO. Il che significherebbe che l’obiettivo di partenza di Bruxelles e Washington - la sconfitta strategica russa - sarebbe stato ribaltato completamente con la sconfitta strategica della NATO. Non sfugge il portato politico, storico e militare che vedrebbe la Russia vincitrice anche sull’impero NATO dopo quello hitleriano e napoleonico.

Per quanto riguarda il Kursk, Putin ha risposto parlando in uniforme da combattimento, offrendo un messaggio diretto e allo stesso tempo subliminale: i militari ucraini nel Kursk sono terroristi, visto quello che hanno fatto alla popolazione civile della regione. Se vogliono avere salva la vita devono arrendersi in fretta ed avranno il trattamento degno previsto dalla Convenzione di Ginevra: in caso contrario saranno abbattuti uno dopo l’altro.

E’ evidente che il tentativo di aprire un nuovo capitolo nelle relazioni bilaterali tra USA e Russia è interesse strategico di entrambi: Washington perché ha perso la scommessa del suo dominio unilaterale e Mosca perché ritiene che il suo ruolo di primo attore internazionale sia stato ratificato dall’aver bloccato l’espansione ad Est della NATO ed aver sconfitto l’alleanza atlantica sul piano militare, politico, diplomatico ed economico.

Alla fine, se grazie all’Ucraina gli USA sono riusciti a staccare la Russia dall’Europa, anche la Russia assiste alla separazione dell’Europa dagli USA. E se a Washington pensano che la fine delle sanzioni ed un nuovo quadro internazionale costruito sull’intesa tra superpotenze potrebbe interrompere la cooperazione strategica tra Mosca e Pechino, si ricrederanno scoprendo che è più facile che i divorzi avvengano nel campo occidentale, tanto sul terreno economico come politico.

Nel frattempo l’Europa è diventata una sorta di protettorato a guida britannica, che ricorda a tutti come sia la City a decidere le sorti del capitalismo mondiale in fase ascendente come calante. L’idea di Starmer e Macron di dare operatività alla guerra contro Mosca fa abbastanza ridere dato che gli USA non ci pensano affatto a partecipare e, sebbene la Germania di Merz abbia dato il suo entusiastico si, mezza UE è contraria, compresa l’Italia che è tra i paesi fondatori.

La disponibilità della Francia di Macron durerà fino a che si dovranno stabilire le catene di comando tra Parigi e Londra senza dimenticare che la Costituzione francese permette l’utilizzo del dispositivo atomico della Force de Frappe solo nell’esclusivo interesse della Francia ne proibisce metterlo a disposizione di altri paesi o coalizioni. Per violare la Costituzione e forzare un intervento militare francese servirebbe ben altra autorevolezza politica e dunque ben altro presidente. E comunque, Parigi dispone di 290 atomiche e Londra di 225. Mosca ne ha 6500.

Il fatto che Macron e Merz vengano dalle banche internazionali per le quali continuano a lavorare (Macron da Rothschild e Merz da BlackRock) rende evidente l’idea della riconversione in chiave bellica dell’economia industriale della UE. Dopo la svolta green, rivelatasi una barzelletta dai risultati penalizzanti, l’unico dato in crescita riguarda la disoccupazione e l’inflazione. L’Europa, arricchitasi con gli idrocarburi russi a buon mercato, l’export verso la Cina e la protezione USA che la copriva militarmente, oggi si trova ad aver rotto con la Russia, aver ridotto al minimo lo scambio con la Cina ed aver perduto la copertura degli USA. Una storia da orfanatrofio più che da superpotenza.

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