I colloqui di martedì in Arabia Saudita tra Stati Uniti e Ucraina sono solo una delle primissime mosse di quello che si annuncia come un complicatissimo processo diplomatico per cercare di mettere fine alla guerra in corso con la Russia. Molti commentatori indipendenti hanno legittimamente espresso delusione per l’esito del summit con la proposta, da sottoporre a Mosca, di un cessate il fuoco generale di un mese. È molto probabile infatti che il Cremlino respinga l’offerta, visto che ha chiarito in più occasioni il proprio interesse non in un congelamento delle ostilità ma in un accordo di ampio respiro che elimini alla radice le ragioni della crisi. Un’evoluzione di questo genere non prospetterebbe nulla di buono sul fronte ucraino, ma è consigliabile quanto meno attendere la risposta ufficiale del governo russo alla proposta ucraino-americana e, ancora di più, i colloqui che seguiranno a breve tra esponenti del governo di Washington e quello di Mosca, inclusi molto probabilmente i presidenti Trump e Putin.

Non ci sono dubbi che la rappresentazione andata in scena a Jedda abbia avuto risvolti preoccupanti, soprattutto alla luce dei segnali incoraggianti che, invece, l’amministrazione Trump aveva lanciato nelle ultime settimane. La sensazione di assistere a uno show dal copione già scritto è stata condivisa da molti. Dopo le tensioni, spesso esplose anche pubblicamente, tra Trump e Zelensky e le iniziative che hanno penalizzato l’Ucraina, come lo stop alla fornitura di armi e alla collaborazione nell’ambito dell’intelligence, una sorta di riconciliazione si è registrata soltanto sulla base di una relativamente trascurabile concessione fatta dal regime di Kiev.

Zelensky è cioè passato dall’accettare una tregua “parziale” a dare la sua approvazione per un cessate il fuoco “totale” della durata di 30 giorni. In questo periodo dovrebbero partire i negoziati veri e propri per mettere fine definitivamente alla guerra. Su queste basi, la Casa Bianca ha deciso di ristabilire la cooperazione tra le intelligence di USA e Ucraina, fondamentale per le operazioni militari di Kiev, e di riattivare il trasferimento di armi. Il punto centrale della strategia partorita a Jedda sembra essere così di “passare la palla” a Mosca, su cui graverebbe ora la responsabilità di fare la prossima mossa per fermare la guerra.

Prevedibilmente, la stampa ufficiale in Occidente è subito partita all’offensiva per manipolare la realtà dei fatti e, in attesa di un probabile “nyet” di Putin, creare uno scenario nel quale la Russia venga nuovamente accusata di non volere la pace. Il passo successivo sarebbe il rilancio degli sforzi per sostenere l’Ucraina, allontanando di conseguenza la fine del conflitto. A questo disegno ha accennato Trump dopo la chiusura dei colloqui in Arabia, quando ha affermato di sperare in un’accettazione da parte russa della proposta di tregua, altrimenti “non resterà che continuare a combattere”.

Il blogger Simplicius ha scritto nella sua analisi sul vertice di Jedda che l’evento e il comunicato ufficiale che ne è seguito servono sostanzialmente a risollevare l’immagine di un Trump che, al di là dei proclami, ha concretizzato finora poco o nulla di quanto promesso in campagna elettorale. La proposta di tregua non ha nessun senso per varie ragioni, spiega ancora Simplicius. La prima è che arriva poche ore dopo che il regime di Zelensky ha messo in atto un’aperta provocazione con un massiccio attacco di droni in Russia probabilmente con l’obiettivo di ostacolare il processo diplomatico.

Inoltre, Mosca dovrebbe accettare un cessate il fuoco da cui non trarrebbe alcun vantaggio proprio mentre il fronte di guerra nel Donbass sembra vicino al tracollo per le forze ucraine, anche sul punto di cedere definitivamente il territorio conquistato lo scorso anno nella provincia russa di Kursk. In generale, poi, mentre l’Ucraina ottiene, come già ricordato, la riattivazione delle forniture di armi americane e dello scambio di dati di intelligence, per la Russia non è prevista nessuna vera “concessione”.

È interessante valutare la prospettiva russa di fronte alla proposta uscita dal summit di Jedda. Gli Stati Uniti hanno già ripreso i trasferimenti di armi all’Ucraina. Se Mosca acconsente alla tregua, nei 30 giorni che seguiranno c’è da attendersi ulteriore movimento in questo senso in assenza della minaccia russa. Se il Cremlino decidesse invece di continuare la guerra, le forniture di armi proseguiranno comunque, ma con la possibilità per Mosca di colpire i carichi provenienti dall’Occidente. C’è da chiedersi quindi “per quale ragione la Russia dovrebbe scegliere la prima opzione”.

Per il segretario di Stato USA, Marco Rubio, Putin sarebbe chiamato a fare un “gesto di buona volontà” accettando la proposta di tregua. Le minime possibilità che ciò accada sono legate al fatto che l’evento saudita è stato soltanto un colloquio preliminare tra Washington e Kiev e quello che conta è il contenuto delle trattative vere e proprie che dovrebbero partire appunto nei 30 giorni del cessate il fuoco, prorogabili in caso di accordo tra le parti.

Nell’equazione diplomatica ucraina vanno incluse anche le dinamiche politiche interne al regime di Zelensky e le pressioni che l’amministrazione Trump sta subendo sul fronte domestico e dagli alleati NATO in Europa, impegnati a boicottare i piani della Casa Bianca. Vanno in altre parole considerati i pericoli che l’ex comico televisivo deve affrontare in questo frangente del conflitto, rappresentati sia dagli ambienti neo-nazisti, pronti a liquidarlo in caso di concessioni a Mosca, sia dagli Stati Uniti con voci insistenti su manovre per metterlo da parte tramite elezioni o un colpo di stato.

L’atteggiamento dell’amministrazione Trump osservato a Jedda è sembrato a sua volta risentire della persistente opposizione all’opzione diplomatica in Europa e tra i settori “neo-con” dell’apparato di potere USA. Quello in atto potrebbe essere perciò un allentamento delle pressioni su Kiev in attesa della prossima mossa di Mosca, ben sapendo però che le condizioni sul campo e le posizioni russe lasceranno poco spazio alle speranze di una tregua nei termini discussi in Arabia.

Altri commentatori, come ad esempio l’ex ispettore ONU Scott Ritter, hanno espresso comunque pareri molti negativi sull’esito dei colloqui di martedì. Quello che ipotizzano è un rifiuto della proposta ucraino-americana da parte del Cremlino, ulteriori sanzioni contro Mosca, la ripresa del flusso di armi verso Kiev e un’intensificazione dell’offensiva militare russa che, alla fine, porterà l’amministrazione Trump a più miti consigli. Ovvero a prendere atto degli equilibri usciti da tre anni di guerra e ad accettare di discutere seriamente le condizioni imprescindibili fissate dalla Russia per arrivare a una pace definitiva.

Volendo trovare un minimo spiraglio di ottimismo, tra le righe delle dichiarazioni della delegazione americana a Jedda si intravede ancora una volta il riconoscimento delle priorità russe in prospettiva di un futuro negoziato. Rubio, ad esempio, dopo avere ribadito che la “palla è ora nel campo russo”, ha affermato, facendo eco alle richieste di Mosca, che “Washington cerca una soluzione permanente al conflitto, accettabile da entrambe le parti”.

Di certo si è ancora lontani anche solo dal gettare le basi per una trattativa seria e l’impressione nettissima è che l’amministrazione Trump continui a illudersi di essere in una posizione di forza per dettare le condizioni della pace alla Russia. Tuttavia, l’assenza di una risposta negativa immediata di Putin a una proposta a prima vista inaccettabile lascia sperare che dietro le apparenze potrebbero esserci altri fattori in gioco. Solo il riscontro ufficiale di Mosca chiarirà quindi quali saranno le reali possibilità che la guerra possa finalmente avviarsi verso la strada della diplomazia.

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