Il voto tedesco è arrivato ed ha portato il sommovimento che si prevedeva. Gli exit-poll assegnano una crescita impetuosa ai nazisti di AfD che è solo in parte compensata dalla crescita della sinistra di Die Linke e dall’affermazione del BSW, che è stata appesa a pochi voti dal superare la soglia di sbarramento. Il dato politico altrettanto rilevante riguarda però il crollo della SPD, il partito di governo colpevole del coinvolgimento della Germania nella guerra alla Russia che ha determinato una violenta crisi industriale.

L’affermazione della CDU indica uno spostamento al centro dell’elettorato ma è presto per capire se vi saranno le condizioni per una coalizione di governo, ovvero se la maggioranza numerica possa diventare maggioranza politica. In generale, ma a maggior ragione quando un Paese si trova nell’epicentro di una crisi, la somma matematica non offre sempre un risultato politico. E che la situazione in Germania (come in tutta Europa) sia in preda a sommovimenti non vi sono dubbi; è chiaro che il ciclone Trump sta portando a riflessioni e considerazioni inedite, tutte da decifrare. Al momento, comunque, sembra possibile solo un’alleanza della CDU con la SPD e con i Verdi, anch’essi ridotti di 3 punti rispetto al passato, proprio perché entusiasti adoratori del guitto Zelensky.

Certo che l’affermazione dell’estrema destra dell’AFP risveglia incubi, proietta le ombre più nere sul paese più potente del Vecchio Continente. Ma se si vuole tentare un’analisi priva dell’ovvia indignazione, si deve riconoscere che non si tratta di un voto tutto ideologico; nonostante i nauseanti raduni di neonazi, non c’è un ritorno forte del suprematismo razzista, che fu premessa dell’affermazione del nazismo tedesco. Ma così come il nazionalsocialismo ebbe origine a seguito della crisi della Repubblica di Weimar, oggi non si possono non cogliere alcune similitudini con la profonda crisi economica in cui versa la Germania, per il secondo anno in recessione tecnica che rischia peraltro di trasformarsi in stagflazione (ovvero quando la crescita zero si somma all’inflazione).

La causa principale della crisi economica tedesca è proprio il calo della produzione industriale (che vale circa il 27% del PIL), da sempre fiore all’occhiello del modello di sviluppo tedesco, a forte vocazione esportativa. Questa, che rimane la più alta d’Europa, vede un -12% tra il 2019 e il 2024 e una traiettoria che non accenna ad invertirsi, e non si intravvedono possibili bilanciamenti con una crescita dei servizi (che contano per il 64%).

La crisi tedesca, come quella di tutta la UE, ha inizio con quella dei mutui subprime del 2008 e del debito sovrano del 2010, si espande con la pandemia del 2019 ma ha il suo punto di ricaduta più pesante dal 2022, con le sanzioni imposte alla Russia che hanno un effetto boomerang sulla UE in generale ma su Berlino in particolare.

La Germania, del resto, ha vissuto gli ultimi due decenni in una singolare condizione perfetta: il costo conveniente dell’energia fornita dai russi attraverso il Nord Stream, aveva consentito a Berlino dei margini di profitto altissimi per la sua industria, che vedeva la spesa energetica ridotta al minimo. Inoltre, esportava gas e petrolio a diversi paesi dell’Est Europa, ricavandone significativi ingressi economici e politici. Infine, la forte produttività tedesca ed il basso costo dell’energia consentiva un forte export verso la Cina ed offriva ai tedeschi ulteriori margini e posizioni importanti sul mercato cinese.

Berlino godeva anche della protezione degli Stati Uniti, che forniva una copertura politica di primissimo livello e il combinato disposto della sua forza economica e politica favoriva la leadership nella UE.

Ma la ragione principale del sommovimento elettorale è la crisi sociale. La crisi economica ha una ovvia ricaduta nella crisi sociale, dove l’elettorato del ceto medio e delle classi più umili si è visto togliere gran parte delle speranze di crescita e di stabilità che per decenni la Germania aveva garantito ai suoi cittadini.

Un impoverimento significativo degli standard europei e tedeschi in particolare è infatti lo sfondo sul quale si disegna la sconfitta storica della socialdemocrazia e dei Verdi. Alla sofferenza socioeconomica dell’Ovest si somma, con forza, la mancata crescita dell’Est, a dimostrazione di come la riunificazione sia stata territoriale più che del tessuto sociale. A 35 anni dalla riunificazione, il PIL pro capite dei tedeschi che vivono nei Länder dell’ex DDR è ancora del 30% più basso rispetto a quello dei tedeschi che vivono a Ovest. Questo ha contributo al successo della destra dell’AfD, che alle europee del 2024 ha preso il 30% dei voti nell’Est, contro il 13% nell’Ovest.

In tutta la sua storia la Germania non è mai stata un paese come altri in Europa. Un ruolo preminente nei diversi ambiti della cultura europea ed una vocazione al convincimento di essere troppo e troppi per rimanere incatenati in un sistema di relazioni internazionali che non la vedesse al comando, ha dato luogo ad un modello culturale e politico vocato all’espansionismo. Nei fatti è la terza economia del mondo, l’unica europea capace di competere con quella statunitense che, infatti, ha assunto il ridimensionamento tedesco come strada obbligata per il ristabilimento della leadership economica di Washington. Nell’area UE la stabilità politica e la virtuosità dei suoi conti pubblici ne hanno esaltato l’influenza ed è stata considerata la locomotiva d’Europa. Si deve riconoscere come la stessa Unione Europea, sin dall’inizio, si sia retta sull’asse Bonn-Parigi che ne assunse la guida politica e il governo de facto dell’Europa.

La guerra in Ucraina è stato lo strumento scelto dagli USA per piegare l’economia tedesca e, più in generale, la crescita russa e il ruolo della UE nell’Eurasia. L’adesione all’embargo sugli idrocarburi russi ha infatti comportato un danno gigantesco per la produttività tedesca, favorendo oltre misura gli USA che ora vendono la loro energia in sostituzione di quella russa ma ad un costo più che raddoppiato.

Emblematico il fatto che il Tesoro USA ha autorizzato il governo ad annullare le sanzioni verso molte banche russe, senza limitazioni, per consentire le transazioni finanziarie che servono per l’acquisto dalla Russia di petrolio e prodotti derivati, gas naturale, carbone, legname, uranio e tutte le tecnologie legate alle energie rinnovabili. Alcuni di questi beni (ad es. il petrolio ed il gas naturale) sono poi rivenduti - a prezzi maggiorati - al Continente europeo che non poteva acquistarli a causa delle sanzioni. L'ultima volta è successo a Novembre 2024, 3 mesi fa. Insomma Washington fa affari con ciò che ha chiesto a Bruxelles di bloccare.

Il gas però non è l’unico pedaggio pesante pagato per far divenire Berlino strumento della politica USA: la difesa è tornata centrale in Europa e con essa tutte le spese annesse. La Germania nel 2024 ha aumentato la spesa militare di 30 miliardi rispetto al 2019 e parla di un programma di riarmo che inquieta gli europei per i riferimenti storici e preoccupa i tedeschi per le conseguenze sulla spesa sociale.

I risultati di oggi consegnano la Germania all’incertezza politica ma sono diverse le ragioni che rendono la crisi tedesca meno grave, in prospettiva, di quella francese. Nonostante l’incapacità di Sholz, il più insulso dei leader politici tedeschi dal dopoguerra ad oggi, Berlino possiede almeno una ricetta per la sua ripresa che, tutto sommato, dovrebbe essere utilizzata dall’intera UE: chiudere le sanzioni, riaprire gli scambi energetici con la Russia ed aprire ai protocolli per la Nuova Via della Seta con Pechino come risposta ai dazi USA. Non ci sono altre strade: abituata a sedere al tavolo nella lista dei grandi commensali, chi non reagisce rischia di trovarsi in poco tempo in quella del menù.

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