È trascorso solo un mese dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ma la direzione intrapresa dalla sua seconda presidenza verso un consolidamento dei poteri dell’esecutivo in senso autoritario appare già chiaramente visibile. Tra le altre iniziative riconducibili a questa involuzione, una delle più controverse è quella che stabilisce l’autorità sostanzialmente assoluta del presidente su una serie di agenzie federali considerate indipendenti e che operano in svariati ambiti, producendo direttive e regolamentazioni, assicurandone l’implementazione e imponendo sanzioni per il mancato rispetto di esse. Trump si è auto-assegnato questo potere attraverso un decreto presidenziale firmato nei giorni scorsi. La decisione ha già innescato cause legali che finiranno probabilmente davanti alla Corte Suprema, dove il principio alla base dell’indipendenza di questi organi potrebbe essere cancellato in via definitiva.

Agenzie come la Commissione Elettorale Federale (FEC), la Commissione per i Titoli e gli Scambi (SEC), l’Ufficio per la protezione finanziaria dei consumatori (CFPB) o la Commissione Federale per le Comunicazioni (FCC), secondo l’ordine emesso da Trump, devono essere sottoposte alla supervisione del direttore dell’ufficio della Casa Bianca per la Gestione e il Bilancio (OMB), alla cui guida il presidente repubblicano ha nominato il fedelissimo, Russell Vought. Le agenzie in questione saranno vincolate al volere del vertice dell’esecutivo sia per quanto riguarda il loro processo decisionale sia in materia di risorse finanziarie. In breve, cesseranno di essere indipendenti, per diventare meri strumenti della Casa Bianca e delle sue priorità politiche.

Qualsiasi norma o regola che dovesse deviare dall’agenda presidenziale sarà quindi di fatto impossibile da implementare. Nel decreto di Trump viene fatto esplicito divieto a queste agenzie federali di interpretare la legge in contrasto con le posizioni del presidente o con le opinioni legali del ministro della Giustizia (“Attorney General”), a meno di un’apposita autorizzazione rilasciata da uno o entrambi questi uffici.

Il decreto di Trump contraddice il precedente legale del 1935 che per novant’anni ha fissato i limiti dell’esecutivo, con serie implicazioni per la dottrina della separazione dei poteri. Il caso (“Humphrey’s Executor contro Stati Uniti”) risolveva una disputa tra F. D. Roosevelt e un funzionario di un’agenzia federale licenziato dal presidente per questioni legate a divergenze di natura politica. La Corte Suprema stabilì che il presidente non aveva il potere di agire in questo modo e, quindi, di controllare di fatto queste agenzie create dal Congresso. La facoltà di rimuovere un direttore o un funzionario è riconosciuta solo in caso di provata inefficienza o comportamento illecito.

Per Trump, sarà l’OMB a fissare bilancio e attività delle agenzie federali, nonché ad abrogarne le decisioni se in contrasto con il volere del presidente. L’OMB eserciterà la sua supervisione anche attraverso l’imposizione di specifici “standard e obiettivi”, sui quali presenterà rapporti periodici direttamente all’ufficio del presidente. Nel decreto presidenziale, intitolato “Ensuring Accountability for All Agencies”, si cerca di spiegare la decisione di Trump col fatto che le agenzie sottoposte alla nuova direttiva “esercitano un’importante autorità esecutiva” ed “emanano regolamentazioni rilevanti” senza renderne sufficientemente conto al presidente, ma questo requisito non è mai stato fissato né dal Congresso né dal già citato precedente della Corte Suprema.

È chiaro che la disputa si ricollega ai tentativi di Trump di accentrare ampi poteri per rimuovere qualsiasi ostacolo legale e costituzionale all’implementazione della propria agenda politica. Il carattere autoritario di questo progetto è difficile da sopravvalutare. Esso si basa su una teoria legale a lungo emarginata, cioè del cosiddetto “esecutivo unitario”, secondo la quale qualsiasi vincolo o limitazione imposta al potere esecutivo del presidente sarebbe incostituzionale.

Si tratta evidentemente di una ricetta per la dittatura presidenziale. In primo luogo, la Costituzione americana stabilisce chiaramente che l’organo dello stato con i maggiori poteri è il Congresso. Inoltre, sempre secondo il dettato costituzionale, nonostante la separazione dei poteri, quello dell’esecutivo non è assoluto, ma sottoposto in casi specifici all’organo legislativo. È il caso ad esempio del potere del Congresso di annullare il veto presidenziale su una determinata legge o di dichiarare guerra e autorizzare l’impiego dell’esercito oltre il periodo di 60 giorni nonostante il presidente sia il “comandante in capo” delle forze armate.

Anche a livello pratico, il controllo della Casa Bianca sulle agenzie federali indipendenti ha implicazioni preoccupanti. La CFPB e la SEC operano ad esempio nell’ambito dei mercati finanziari e la nuova realtà prospettata dalla decisione di Trump potrebbe ridurre le già deboli regolamentazioni relative alla protezione degli investitori e agli abusi degli istituti bancari. Per quanto riguarda la FEC, invece, il rischio è la manipolazione del processo elettorale, mentre per la FCC in gioco ci sono le operazioni dei grandi gruppi mediatici americani.

Il decreto presidenziale di Trump stabilisce significativamente anche un’eccezione. La natura indipendente negata alle agenzie citate in precedenza, e ad altre ancora, è invece riconosciuta al Consiglio dei Governatori della Federal Reserve e al suo Comitato Federale per il Mercato Aperto in relazione all’attività di formulazione della politica monetaria americana. L’autorità presidenziale si applica invece sulla parte che riguarda la supervisione e la regolamentazione delle istituzioni finanziarie. Dal punto di vista legale, se si prende per buona la teoria avanzata dal decreto di Trump, questa eccezione non ha alcun senso. Il motivo dell’esclusione delle operazioni di politica monetaria è da ricondurre alle reazioni negative che un’eventuale estensione ad essa del controllo presidenziale avrebbe generato negli ambienti della grande finanza americana.

La rivendicazione di un potere non previsto dalla Costituzione e contraddetto da quasi un secolo di precedenti legali è già in fase di verifica nei tribunali degli Stati Uniti. La prima causa intentata è quella del direttore dell’Ufficio del Consigliere Speciale (OSC), un’agenzia federale indipendente che si occupa delle denunce presentate dai cosiddetti “whistleblowers” del settore pubblico. Hampton Dellinger contesta il suo licenziamento ordinato da Trump e la sua istanza è stata accolta prima da un tribunale federale distrettuale e poi anche da una corte d’Appello.

L’avvocato del dipartimento di Giustizia ha ora chiesto alla Corte Suprema di intervenire e dirimere la questione, puntando sulla maggioranza ultra-conservatrice non solo per questa specifica vicenda, ma soprattutto per ribaltare un principio legale consolidato e consegnare al presidente repubblicano un’arma formidabile per avanzare il suo progetto di accentramento dei poteri attribuiti all’esecutivo.

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