Immigrazione, dazi, Ucraina. A sentire le promesse elettorali di Donald Trump, quello che inizierà il prossimo 10 gennaio è una sorta di rito purificatorio degli Stati Uniti. La serie di misure annunciate dovrebbero mostrare in tempi brevi la ripresa della leadership statunitense nell’economia, nella conduzione politica degli affari globali, nella reiterazione della potenza militare. Un ritorno del dominio imperiale che arresterebbe la caduta in tutti i campi del modello a stelle e strisce. Ma davvero si ritiene che il Make America Great Again sia alla portata di un impero che ha problemi maggiori delle sue risorse? E che possa invertire la rotta in un quadriennio presidenziale?

La destra internazionale incrocia le dita e si prepara a questa riscossa imperiale, ma la mappa del pianeta è decisamente cambiata, anche solo volendo prendere a riferimento il primo mandato del tycoon. Oggi la ricchezza mondiale si trasferisce da Nord verso Sud e verso Est: per lo sviluppo accelerato delle economie emergenti e perché la capacità di interlocuzione degli USA è stata duramente danneggiata dall’uso arrogante delle sanzioni e degli embarghi ai 4 angoli del pianeta.

Strumenti con cui gli Stati Uniti cercano di piegare il quadro internazionale a proprio vantaggio ma che gli si sono ritorti contro, vista la riduzione dell’export verso i paesi sanzionati (che sono 23 e che raccolgono il 76% della popolazione mondiale) e della conseguente domanda di Dollari. I paesi fuori dall’Occidente Collettivo stanno riducendo l’utilizzo del Dollaro nelle transazioni internazionali e sono inutili le minacce che Trump rivolge ai BRICS circa la creazione di una Divisa alternativa al Dollaro: non ne hanno bisogno per ora, gli basta ridurre gli scambi in valuta USA e aumentare quelli nelle rispettive monete locali o in monete virtuali.

Addirittura Trump vuole incrementare le sanzioni, così spingendo verso il ritiro dei depositi di molti dei Paesi del Sud globale, timorosi delle decisioni politiche di sequestri dei beni e depositi dei paesi contro cui Washington ha o inventa contenziosi. Ciò aprirà ulteriori buchi nei conti delle grandi banche occidentali, che già oggi detengono centinaia di miliardi di dollari in titoli tossici e crediti inesigibili.

L’impero malato

A questo quadro si aggiunge la situazione in Ucraina, dove il sostegno massiccio della NATO non ha spostato nemmeno di un km il posizionamento dei russi, arrivati a controllare il 30% dell’Ucraina. Dopo più di mille giorni di Operazione militare speciale, il teatro di guerra indica con chiarezza come sebbene l’Ucraina abbia ricevuto centinaia di miliardi di Dollari in armi e logistica ed altrettanti in aiuti finanziari, la guerra è persa. Vi sono ancora resistenze ad ammettere la sconfitta è netta la consapevolezza di una sconfitta politica che si riverbererà su ogni possibile accordo, visto che Putin non ha nessun motivo per trattare il suo trionfo e che non saranno quindi gli ucraini a porre le condizioni per la pace. Nessuna campagna informativa potrà trasformare gli sconfitti in vincitori e la vittoria in un pareggio. Se la guerra per l’Europa è stata il suo suicidio economico e politico, per gli USA è una sconfitta politica e militare di valore strategico. La sconfitta russa non c’è stata, la rottura con la Cina nemmeno: c’è solo la sconfitta occidentale su ogni terreno, militare, economico e politico.

Trump dovrebbe partire dalla coesione interna, perché senza una società unita o comunque non in un conflitto trasversale, difficilmente ci si può proiettare esternamente. Ma mai come in questa fase le fratture socioculturali interne agli Stati Uniti sono state così drammatiche e le restrizioni sui diritti civili che Trump porrà, incrementeranno xenofobia, razzismo e rivolta contro l’ordinamento federale, aumenteranno ulteriormente la frattura tra i due mondi.

I dati indicano una seria crisi sistemica. Aumenta la forbice sociale, con l'1% più ricco che possiede il 35,6% di tutta la ricchezza privata, che è divisa tra bianchi (75%), neri (12,5%) e ispanici (9%) e con le 400 persone più ricche che possiedono più ricchezza degli ultimi 150 milioni di americani. La coesione sociale è giunta ad un punto di non ritorno di fronte ad un apartheid sociale e razziale difficile da occultare. Le discriminazioni contro i neri si verificano nel sistema giudiziario, nelle condizioni sanitarie, negli alloggi e si evidenzia come coesistano due società, una bianca e una nera, separate e diseguali.

E come si mantiene questo divario? I dati della Prison Policy Initiative mostrano che gli Stati Uniti hanno il più alto tasso di incarcerazione al mondo, con 565 arresti ogni 100.000 persone e più di due milioni di persone rinchiuse in 1.566 carceri statali, 3.161 carceri federali, 1.323 istituti penitenziari minorili, 181 centri di detenzione per immigrati e ottanta prigioni tribali nelle riserve indiane. Senza contare che la polizia statunitense uccide 1.000 persone all'anno durante le operazioni di pattugliamento. In questo senso l’arrivo alla Casa Bianca di Trump non migliorerà certo i coefficienti.

La polarizzazione di classe della società si riflette nella mancanza di universalità dei diritti sociali. Secondo il Dipartimento per gli Alloggi e lo Sviluppo Urbano (HUD), il numero di cittadini USA senza fissa dimora è salito a 116.650, ed è il numero più alto da quando è iniziato il conteggio nel 2007. Circa il 60% di queste persone vive attualmente in rifugi o ricoveri di vario tipo e il 40% sopravvive "in luoghi non destinati all'abitazione umana".

I disagi sociali portano altra devianza? Secondo il Substance Abuse and Mental Health Service, l'agenzia per le droghe e la salute mentale dell'Istituto Nazionale della Salute degli Stati Uniti, 45 milioni di persone soffrono di disturbi mentali e 15 milioni di depressione cronica acuta. Più di 6 di loro non ricevono cure per mancanza di assicurazione sanitaria o per apatia.

I fondi statali sono necessari per limitare il disagio sociale, che però non viene affrontato a causa di un rigorismo ideologico che antepone il denaro alle persone, vera identità del modello. Altro che opportunità per tutti: circa 30 milioni di adulti - il 17,5% dell'intera popolazione statunitense - sono considerati "analfabeti funzionali", cioè incapaci di comprendere il senso di ciò che ascoltano e leggono ed inabili dunque ad affrontare determinati contesti, soprattutto quelli legati all'economia, alla legge e agli affari pubblici.

 

Finché c’è guerra, c’è speranza?

Mark Twain diceva che gli Stati Uniti fanno le guerre perché serve a che gli americani imparino la geografia. Un'ironia che tocca un elemento fondante degli Stati Uniti: l'idea dell'impero dominante, dell'eccezionalismo americano come imperativo categorico planetario.

A conferma di ciò, la spesa militare nel 2024 è stata di 886 miliardi di dollari, la più alta della storia. Le basi militari statunitensi sono l'espressione più evidente della natura imperiale. Ce ne sono 642 nel mondo, distribuite in 76 Paesi e personale militare USA è presente in oltre 170 Paesi, l'87% del mondo.

Uno sforzo inutile, visto che nell'ultimo secolo gli Stati Uniti sono stati coinvolti in 64 guerre grandi e piccole, ma in 44 di esse hanno dovuto trovare una uscita diplomatica per evitare la sconfitta sul campo, mentre in 11 sono stati sconfitti su tutti i fronti. Dal 1989 gli Stati Uniti hanno vinto meno del 20% dei conflitti, almeno secondo i calcoli del Socom, il Comando unificato delle forze speciali statunitensi, che ha esaminato i 9 conflitti in cui gli americani sono stati coinvolti sotto le presidenze di Bush Jr, Obama, Trump e Biden.

Dal punto di vista politico, le cose non vanno meglio. La chiamata alle armi per la difesa del proprio impero non vede il sostegno della maggioranza dei paesi, semmai riscontra distanze impreviste. C’è un  Nord ormai privo di credibilità politica e la fine di ogni possibile sovrapposizione tra "democrazia" e “Occidente” è diventata evidente con la fine della dimensione etica di un impero che esibisce sfacciatamente un doppio standard permanente, parlando di diritti umani mentre collabora al genocidio dei palestinesi. Gli Stati Uniti, così come sono, per il governo ragionevole del mondo rappresentano il problema. E Trump non è certo la soluzione.

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