L’attacco intenso di queste ultime ore sulla rete energetica ucraina è la risposta di Mosca alla recente ondata di bombardamenti ucraini sulla città russa di Kazan con l’uso di missili balistici statunitensi a medio raggio ATACMS, così come all’assassinio a Mosca del Generale Kirillov. Tutto indica che l’Ucraina, vista l’assoluta incapacità militare di riconquistare un terzo del paese ormai in mani russe, tenta di dimostrare una presunta vitalità militare, nonostante sia costretta con forza e brutalità ad arruolare giovani per mandarli a morire in una guerra già persa.

Queste azioni, che mancano di utilità militare e non producono la minima variazione nello scenario bellico, perseguono due obiettivi. Con i missili ATACMS lanciati contro la città di Kazan (sede dell’ultimo vertice dei BRICS, che ha rappresentato un trionfo politico per Putin), si vuole mostrare che è possibile affrontare la Russia sul terreno balistico. Inoltre, bombardando obiettivi civili, si mira a seminare paura nella popolazione russa. Tuttavia, questo calcolo, elaborato da Washington e Londra, i cui team militari selezionano obiettivi e gittate dei missili, è profondamente errato.

Kiev vuole convincere la prossima amministrazione repubblicana che l’esito della guerra non è ancora deciso. Così, si cerca di garantire la continuità del finanziamento e della fornitura di armi strategiche, nella speranza di mantenere la Russia sotto pressione. Prolungare la guerra eviterebbe l’umiliazione di una trattativa di pace che, inevitabilmente, partendo dalla realtà sul terreno, sarebbe estremamente sfavorevole per l’Ucraina e, al contrario, consoliderebbe una vittoria strategica per Putin.

C’è una coincidenza di interessi tra l’UE, Londra e Kiev, insieme all’amministrazione ufficialmente guidata da Biden: lasciare a Trump una situazione al limite dell’irreparabile, da affrontare solo con un approccio militare, nonostante la totale disfatta del regime ucraino e della NATO. Tuttavia, provare a trasformare la sconfitta strategica della NATO in una sconfitta russa, porterà solo a una minore flessibilità al tavolo delle future negoziazioni, anche considerando che a Mosca ben sanno che sono statunitensi e britannici a lanciare missili contro civili e ad organizzare eliminazioni mirate.

Putin è consapevole che le recenti provocazioni mirano a provocare una rappresaglia russa che chiuderebbe qualsiasi dialogo prima che possa iniziare. Sebbene il quadro può far ipotizzare un cambio nella politica degli Stati Uniti, sarebbe ingenuo aspettarsi una totale inversione da parte USA. Trump ha manifestato la sua intenzione di dialogare con Putin; del resto il settore del deep state a cui fa riferimento il tycoon ritiene che prolungare una guerra costosa e con poche prospettive di indebolire significativamente la Russia o di dividerla da Pechino non sia nell’ordine delle cose possibili. Fino ad ora, infatti, si è assistito solo a un rafforzamento dei legami tra i due giganti, che insieme rappresentano una minaccia per l’egemonia occidentale.

Si specula su un possibile congelamento del conflitto ai confini indicati dalla presenza militare attuale, sul dispiegamento di un contingente internazionale di “mantenimento della pace” in Ucraina e sul rinvio indefinito delle discussioni sull’ingresso di Kiev nella NATO. È difficile che la Russia accetti un contingente con un ruolo neutrale ma composto dai suoi nemici; ma dover accettare le condizioni russe pone gli Stati Uniti di fronte a una decisione difficile.

Il Cremlino ha ribadito in più occasioni che non vuole tregue temporanee, ma solo una pace basata su una nuova architettura della sicurezza europea. Tra le condizioni principali figurano: revoca delle sanzioni internazionali contro la Russia; neutralità e disarmo dell’Ucraina insieme alla sua “denazificazione”; riconoscimento di Luhansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhya che, insieme alla Crimea, dopo i referendum del 2022, sono parte della Federazione Russa.

Sebbene sia possibile che Mosca mostri una certa flessibilità su alcune di queste condizioni durante le trattative, è evidente che già solo negoziare con il Cremlino rappresenta una sconfitta per il blocco occidentale, che per anni ha insistito sul fatto che la Russia dovesse ritirarsi, restituire i territori occupati e garantire una vittoria completa per l’Ucraina. Non a caso, è l’Ucraina - non la Russia - che vieta per legge di trattare con Mosca.

Quali che siano i dettagli, Stati Uniti e alleati non possono più nascondere il loro fallimento militare e politico contro la Russia. Il sostegno all’Ucraina non è stato sufficiente a cambiare il corso del conflitto. Sul piano politico, si è evidenziato il fallimento dell’isolamento diplomatico di Mosca: la maggior parte della comunità internazionale, inclusi molti alleati degli Stati Uniti, si è rifiutata di aderire alle sanzioni contro la Russia, mettendo in luce una chiara frattura globale.

 

Il fallimento della strategia atlantista

Dalla conferenza NATO di Bucarest del 2008 a quella di Madrid del 2021, l’obiettivo dichiarato dell’Alleanza Atlantica è stato l’espansione verso Est e la sconfitta strategica della Russia. Questo piano mirava non solo a smembrare politicamente la Federazione Russa in diverse repubbliche, ma anche a porre fine al suo peso strategico internazionale, distruggendo l’alleanza con la Cina e smantellando il progetto dei BRICS.

Questi sogni si sono infranti nelle pianure del Donbass e non troveranno posto nelle eventuali trattative; nulla - tranne un conflitto termonucleare globale il cui primo teatro sarebbe l’Europa - potrà cambiare questo stato di cose. Qualsiasi negoziazione che implichi l’accettazione delle condizioni russe segnerebbe un cambio di paradigma negli equilibri globali, con conseguenze a lungo termine per l’ordine internazionale, poiché la partita ucraina è, per l’Occidente, una partita persa, giocata da 31 paesi contro uno e persa sotto ogni profilo: militare, politico, economico-finanziario, commerciale e diplomatico.

Lo scenario attuale suggerisce che l’Occidente potrebbe essere costretto a rivedere i suoi piani, ammettendo implicitamente una sconfitta strategica. L’esito della guerra in Ucraina ha completamente ribaltato gli equilibri sistemici planetari favorevoli all’Occidente Collettivo, allineato sotto il blocco anglosassone. L’alleanza strategica sempre più stretta tra Russia e Cina ha riequilibrato l’ordine internazionale, le cui assi sono in costante movimento, certificando così la profonda crisi strutturale della leadership unipolare guidata dagli Stati Uniti.

Oltre alla sconfitta militare, per gli Stati Uniti l’obiettivo principale della guerra contro la Russia era rompere bruscamente la relazione tra Europa e Mosca, che, attraverso lo scambio di capitali, tecnologia e prodotti finiti con forniture energetiche e cerealicole a basso costo, aveva costruito una crescita economica reciproca in un clima di crescente fiducia, nonostante le naturali differenze. La relazione tra Russia ed Europa è ora distrutta e tale rimarrà per decenni. Tuttavia, come sempre accade con le strategie di Washington, l’obiettivo raggiunto nel breve termine si trasforma nel principale problema a medio e lungo termine.

È precisamente il caso dell’Unione Europea, che con la guerra in Ucraina ha cessato di esistere come blocco politicamente indipendente e rilevante, pur se all’interno del quadro di governance dell’ordine unipolare. L’Unione Europea si è dissolta insieme alla sua autonomia strategica e il suo ruolo di mediazione tra Nord e Sud è morto prima di nascere. La perdita di autorità politica dell’UE si traduce in un minor valore per l’intero Occidente; ha perso il suo ruolo di agente regolatore degli squilibri internazionali, naufragato sugli scogli dell’obbedienza verso Washington, che si è dimostrato essere il suo unico programma.

Anche sul piano militare, il debutto dell’UE sulla scena si è rivelato un fallimento: in costante discussione sulla possibilità di creare un esercito europeo, la sua dimensione militare si è ridotta a logistica per le armi a Kiev. Del resto la NATO conferma essere una misura di protezione per gli interessi strategici degli Stati Uniti e non un sistema di difesa per l’Occidente.

A Bruxelles ci sono due palazzi che contano davvero: uno è la sede del Segretariato Generale della NATO e l’altro ospita la Commissione Europea. Che il primo dia ordini al secondo, ridotto a un mero magazzino bellico, è ormai un’evidenza indiscutibile.

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