Le elezioni amministrative di domenica nello stato orientale tedesco del Brandeburgo hanno apparentemente dato una boccata di ossigeno al cancelliere, Olaf Scholz, a un anno dal voto per il rinnovo del parlamento federale. Dopo i risultati pesantissimi per il suo partito a inizio settembre in Sassonia e Turingia, c’erano parecchi timori per una possibile nuova batosta nel “Land” che circonda Berlino, a tutto favore dell’estrema destra di Alternativa per la Germania (AfD). I Socialdemocratici (SPD) si sono invece confermati la prima forza, ma le circostanze del successo non offrono spiragli di ottimismo per Scholz e il partito. Vari fattori hanno infatti influito sull’esito della consultazione, nessuno dei quali da collegare alla popolarità del governo guidato dal cancelliere.

È stato innanzitutto il clima politico e mediatico venutosi a creare dopo lo “shock” di Sassonia e Turingia ad avere influito sulle scelte degli elettori nel fine settimana. Il sito Politico ha citato un’indagine statistica che rivela come tre su quattro votanti per la SPD nel Brandeburgo abbiano preso questa decisione non per affinità con il partito di Scholz ma piuttosto per impedire che la AfD arrivasse al potere nello stato. Quella registrata domenica è quindi una relativa mobilitazione contro i neo-nazisti che è confermata anche dall’affluenza record in questo “Land”, passata dal 61,3% del 2019 al 74% di domenica.

La SPD, puntualmente il primo partito nel Brandeburgo dal 1990 a oggi, ha alla fine sfiorato il 31% dei consensi, con un guadagno di quasi 5 punti rispetto alle ultime elezioni. La AfD si è fermata al 29,2%, cioè con una leggera flessione in confronto al voto recente in Sassonia (30,6%) e Turingia (32,8%), ma facendo comunque segnare un +5,7% rispetto al 2019. La diga presumibilmente eretta per fermare l’estrema destra rimane comunque fragile. I progressi della AfD si moltiplicano sia a livello locale sia a quello federale, alimentati dalla crescente impopolarità delle scelte di politica estera, economica e sociale del governo e di tutto il quadro politico tradizionale. Governo e opposizione ufficiale favoriscono inoltre l’estrema destra acquisendone molte delle istanze, in primo luogo sul fronte della lotta all’immigrazione clandestina, così da legittimarne le posizioni nonostante l’apparente inconciliabilità.

La SPD nel Brandeburgo ha anche beneficiato dalla popolarità del governatore Dietmar Woidke, valutato positivamente da oltre il 60% degli elettori dello stato. Alla guida di questo “Land” dal 2013, Woidke ha puntato in campagna elettorale sui dati macroeconomici incoraggianti, come la crescita economica del 2,1% nel 2023, in controtendenza rispetto alla media nazionale e ancora di più a quella degli altri stati orientali. Un’altra scelta vincente è stata poi quella di tenere l’impopolare cancelliere Scholz rigorosamente lontano dai comizi della SPD, nonostante quest’ultimo risieda proprio nel Brandeburgo.

Sempre riguardo alla barriera contro la AfD, ha portato voti ai socialdemocratici anche una circostanza insolita legata a questa presa di posizione. Il governatore cristiano-democratico (CDU) della Sassonia, Michael Kretschmer, aveva cioè affermato pubblicamente che per gli elettori di centro-destra sarebbe stato più logico votare per Woidke e la SPD che per la CDU, nell’ottica appunto di fermare l’avanzata della AfD. In parte anche per questo, i cristiano-democratici hanno registrato uno dei peggiori risultati di sempre nella Germania orientale, piazzandosi al quarto posto con il 12,1% (-3,5%) dei voti.

Proprio la CDU fa parte del governo uscente del Brandeburgo assieme alla SPD e ai Verdi. Questa coalizione, malgrado il discreto risultato dei socialdemocratici, finirà per dissolversi anche per via dell’ennesima pessima prestazione dei Verdi. Saliti a quasi l’11% nel 2019 nel Brandeburgo, domenica sono crollati al 4,1%, ovvero al di sotto della soglia di sbarramento del 5% e quindi senza rappresentanti nel nuovo parlamento statale.

Il disastro dei Verdi riflette il calo generalizzato dei partiti che sostengono il governo federale e che riguarda anche la SPD se non si considera il caso particolare del Brandeburgo. La terza gamba della coalizione al potere a Berlino, i Liberal Democratici (FDP), come nelle altre precedenti consultazioni locali anche qui sono andati vicinissimi all’estinzione, non essendo nemmeno stati in grado di raggiungere l’1% dei consensi.

Il parziale recupero della SPD dopo la lezione incassata in Sassonia e Turingia va infine ricondotto forse anche a una certa correzione del tiro da parte di Scholz nelle ultime settimane. In particolare, il cancelliere aveva per la prima volta invocato pubblicamente una risoluzione diplomatica rapida alla guerra in Ucraina, mentre è rimasto fermo sulla decisione di non inviare missili Taurus a lungo raggio al regime di Zelensky.

I cambiamenti di rotta di Scholz non sono stati solo retorici, anche se quelli trasformatisi in misure concrete non sembrano particolarmente edificanti. Nel tentativo di inglobare le misure anti-migranti di quell’estrema destra che la politica “mainstream” sostiene di volere contrastare, il governo di Berlino ha ad esempio reintrodotto i controlli alle frontiere, scatenando oltretutto un’accesa polemica con i governi dei pasi confinanti, come Polonia e Austria.

Oltre alla AfD, l’altro partito che in queste settimane ha agitato il sonno della politica ufficiale in Germania è l’Alleanza Sahra Wagenknecht (BSW), il partito nato pochi mesi fa attorno all’ex deputata della Sinistra (Die Linke). La Wagenknecht si sta ritagliando uno spazio sempre più ampio nel vuoto della sinistra tedesca (ed europea), tornando a promuovere temi popolari e spesso in netta contrapposizione con il dogma atlantista e ultra-liberista. BSW chiede soprattutto la fine immediata della guerra in Ucraina, la cancellazione delle sanzioni imposte alla Russia, che stanno devastando economicamente la Germania, un rallentamento sulle misure più radicali legate alla transizione ecologica, un certo controllo dei flussi migratori e l’adozione di una politica estera indipendente che guardi a oriente e alle dinamiche multipolari in atto a livello globale.

Il partito della Wagenknecht si è così affermato come terza forza anche nel Brandeburgo, nonostante una campagna mediatica che continua ad accostare il suo movimento all’estrema destra dell’AfD e a caratterizzarlo come una sorta di strumento nelle mani del Cremlino. Nel fine settimana la BSW ha toccato il 13,5%, meglio anche di quanto ottenuto a inizio mese in Sassonia (11,8%) e di poco sotto alla performance della Turingia (15,8%).

Questo partito potrebbe in teoria essere l’ago della bilancia nelle trattative per la formazione del nuovo governo locale anche nel Brandeburgo, visto che tutti i partiti si sono impegnati a escludere la AfD dal tavolo nei negoziati. Sui temi più importanti le posizioni tra BSW, SPD e CDU restano tuttavia molto lontane ed è evidente che, a un anno dalle elezioni federali, il partito di Sahra Wagenknecht ha maggiori prospettive di crescita restando all’opposizione anche a livello locale, capitalizzando le politiche suicide del governo federale e dell’Europa.

Per quanto riguarda Scholz, è probabile che per il momento si allenteranno le pressioni che erano salite vertiginosamente dopo le elezioni in Sassonia e Turingia. Le chances per il cancelliere in vista del voto del settembre 2025 restano però minime, avendo guidato la SPD e la Germania sull’orlo del baratro. Al di là quindi del caso isolato del Brandeburgo, il principale partito di governo tedesco difficilmente riuscirà a invertire un declino auto-inflitto, visto il clima domestico e internazionale destinato a peggiorare anche nei prossimi mesi.

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