In questa fase storica così convulsa, dove il vecchio mondo unipolare, dando vita a frammenti di terza guerra mondiale cerca di impedire con la forza l’affermarsi del nuovo mondo multipolare, ci sono attori che danno spettacolo, quasi mai rimarchevole per contenuto ma sempre all’altezza per le tecniche attoriali. Un caso esemplare lo si può rintracciare nel Parlamento Europeo, apparente espressione politica dell’Unione Europea che però, storicamente, è il primo dei governi mondiali ad ignorarne ruolo e decisioni.

Ci sono fasi nella storia che vedono l’emergere o il sommergersi di uomini, istituzioni, di stati persino, vittime di ambizioni insostenibili o preda del divenire incontrollato degli eventi ai quali non sono riusciti a dare l’indirizzo sperato. Quando si parte con una idea e ci si trova a realizzare tutto il suo contrario si parla di eterogenesi dei fini, concetto espresso da Giovan Battista Vico nel 1700. Alla teoria vichiana giunge conferma proprio dal Parlamento Europeo, tempio dell’ideologia ultraliberista che da anni è teatro di una esperimento di mutazione genetica dell’Europa liberale e progressista in chiave neofascista.

Nei giorni scorsi il PE ha votato una risoluzione non vincolante sull’Ucraina, che al paragrafo 8 “invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni sull’uso delle armi occidentali consegnate all’Ucraina contro obiettivi militari legittimi sul territorio russo”. Insomma, Kiev deve poter portare l’attacco alla Russia in profondità, fino a Mosca.

Tutte le analisi militare appena attendibili sostengono però che le batterie missilistiche anglo-americane e quelle francesi e italiane messe a disposizione non hanno la possibilità di arrivare nella regione di Mosca, ma solo di colpire la fascia di confine tra Russia e Ucraina.

La Risoluzione del PE sorvola su quella che sarebbe la reazione russa nel caso i missili NATO colpissero il suo territorio. Come il Cremlino ha già affermato, il funzionamento e l’indirizzo di questi ordigni ha bisogno di tecnici militari e strumenti di ricognizione e guida satellitare della NATO. Da sola, l’Ucraina, potrebbe solo tirarseli sui piedi. Dunque, se i missili colpiranno il territorio russo in profondità significherà che la NATO ha dichiarato guerra alla Russia. A quel punto la risposta russa sarà inevitabile e, ai conigli mannari che alzano la mano a Strasburgo senza essersi minimamente consultati con i rispettivi elettori, Vyacheslav Volodin, Presidente della Duma di Stato, ha ricordato sommessamente che il tempo di volo del razzo russo Sarmat verso Strasburgo è di 3 minuti e 20 secondi.

 

La posta in gioco

Dietro al voto del PE c’è un’operazione politica chiara: tentare di influire sul voto statunitense. Nel caso vincesse Trump, infatti, sarebbe possibile l’entrata in crisi della strategia di Kiev e si porrebbe in agenda la riduzione dell’impegno militare USA in Europa, con conseguenti ricadute su costi e struttura militare sul già pericolante bilancio europeo e sulla storica incapacità del Vecchio Continente di dotarsi di una politica estera e di difesa. Assumono, al riguardo, indicazioni illuminanti le nomine nella nuova Commissione Europea di russofobici fascisti baltici posizionati in ruoli strategici (l’estone Kaja Kalis agli Esteri e il lituano Andrius Kubilius alla Difesa). Nomine incompatibili con la proporzione tra il peso politico della nomina e quello economico, militare, politico e demografico dei paesi che i nominati rappresentano (Estonia e Lituania). Indicano però lo spostamento sul fronte orientale della linea offensiva della NATO verso Russia, Cina e Iran, dove baltici e polacchi, ovvero l’impasto peggiore della storia europea, saranno chiamati a svolgere il ruolo di ariete atlantico. Del resto per Washington è talmente insignificante la loro sorte che rappresentano l’ideale carne di cannone per le prossime tappe dell’allargamento ad Est dell’Alleanza.

Il progetto della Von der Leyen è ispirato direttamente dagli Stati Uniti che, a differenza della narrazione atlantica, vedono l’Europa non come continente da difendere con la loro potenza strategica ma, al contrario, come continente sacrificabile a difesa degli interessi USA. L’idea di un conflitto nucleare tattico da consumarsi sul territorio europeo è infatti obiettivo del Pentagono, che ha bisogno di analizzare il livello militare russo senza dover pagarne direttamente il prezzo. Il rapporto sull’Europa lanciato da Mario Draghi - un sopravvalutato banchiere famoso per le balle al Parlamento sull’economia russa e il cui merito principale è l’essere espressione del deep state di Washington - è il fondamento teorico di questo nuovo ruolo del Vecchio Continente.

In sostanza, secondo Draghi, che già aveva annunciato nel suo progetto di gestione industriale della pandemia il suo piano, l’Europa dovrà procedere ad un sostanziale mutamento del suo progetto storico che la vedeva come modello di economia inclusiva e garante della pace mondiale. Dovrà riconvertire la sua industria civile in industria bellica, così da essere in grado di sostenere l’aggressione alla Russia. Il progetto non vede particolari divergenze tra democratici e repubblicani negli USA e tra socialisti, liberali e conservatori in Europa. Vede nella sconfitta militare russa la precondizione per sferrare l’attacco militare alla Cina. Un processo che ha come tappe intermedie anche la distruzione dello Yemen e dell’Iran e la consegna agli EAU dello stretto di Hormutz, dove transita il 45% del flusso petrolifero mondiale.

Come già alcuni economisti hanno sottolineato, aldilà dell’aspetto politico che è comunque devastante e vergognoso, la proposta Draghi mette in discussione il modello di governance interno della UE, basato fino ad ora sull’unanimità del voto e ipotizza il voto a maggioranza, e prevede solo per l’indebitamento il terreno comune per sostenere lo sforzo bellico.

La sua sostanziale insostenibilità sta nell’impossibilità di una riconversione industriale di tale natura in un tempo inferiore ai 25-30 anni. Ciò perchè le filiere industriali non sono meccanicamente trasferibili, sia per impianti che per formazione delle maestranze, come per il reperimento delle materie prime necessarie e per la catena di distribuzione che sostiene l’import-export. Nel frattempo, l’Europa sarà morta sotto il suo crollo industriale.

Ma è soprattutto sul terreno militare che il piano Draghi è un suicidio per l’Europa; non solo perché colloca la qualità della risposta militare russa nella stessa balla raccontata sulla crisi della sua economia già dal 2022, ma anche perché in un modello di guerra che vede spostare il suo asse sul fronte tecnologico, pensare di fabbricare tanks, cannoni, munizioni ed armi tattiche, prefigura un ruolo di condannati al macello per i soldati europei, sacrificabili per il trionfo unipolare statunitense.

Ma detto nell’impeccabile inglese con accento british del banchiere amerikano, commuove la nostra stampa atlantista che si eccita senza vergogna, perché conferma quanto gli è stato spiegato: il trasferimento della rappresentanza dai singoli stati agli organismi e, sopra di essi, alla NATO, espressione politica e militare del dominio anglosassone sul pianeta. Probabilmente il banchiere per procura riterrà che il 90 per cento della popolazione mondiale che è fuori dai processi di accumulazione e distribuzione a pochi della ricchezza di tutti potrà non apprezzare ma che la cosa non ha poi così rilevanza. Chissà che come già sulle previsioni da mago di Arcella sull’economia russa regali ai suoi estimatori un’altra figuraccia planetaria. Magari l’ultima.

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