Il potente senatore democratico del New Jersey, Robert Menendez, è stato giudicato colpevole martedì in un clamoroso processo che lo vedeva alla sbarra per corruzione e altri gravissimi reati collegati al suo incarico di (ex) presidente della commissione Esteri della camera alta del Congresso degli Stati Uniti. Di origine cubana e tra i “falchi” più convinti sui temi di politica estera nel suo partito, Menendez aveva in sostanza offerto i propri servizi a ricchi imprenditori e governi stranieri in cambio di denaro e svariati altri “benefit”. Per lui, la sentenza che stabilirà la pena arriverà nel corso di un’udienza fissata per la fine di ottobre, a pochi giorni dalle elezioni a cui sembra intenzionato a candidarsi da indipendente dopo essere stato scaricato dai vertici del Partito Democratico.

 

Tutti e 16 i capi d’accusa contestati a Menendez sono stati confermati dalla giuria di un tribunale di New York. Assieme al senatore, hanno ricevuto un verdetto di colpevolezza anche i due co-imputati, gli imprenditori Fred Daibes e l’egiziano-americano Wael Hana. Il terzo, Jose Uribe, si era già dichiarato colpevole e ha testimoniato contro Menendez nel corso del processo. La moglie di quest’ultimo, infine, è anch’essa implicata nella vicenda e finirà sotto processo al termine delle terapie anti-cancro a cui si sta sottoponendo.

Le accuse contro Menendez prevedevano, tra le altre, quelle di corruzione, frode informatica, estorsione, intralcio alla giustizia e di essere un agente di un governo straniero. È la prima volta nella storia degli Stati Uniti che un membro del Congresso in carica è stato riconosciuto colpevole di quest’ultimo reato. Almeno tra il 2018 e il 2022, Menendez, tramite i già citati uomini d’affari, aveva utilizzato la propria posizione a capo della commissione Esteri del Senato per favorire il regime egiziano del presidente-dittatore al-Sisi. In cambio, Menendez e la moglie Nadine, di origine armeno-libanese, avevano ricevuto grosse somme di denaro in contanti, lingotti d’oro, una Mercedes convertibile del valore di 60 mila dollari e, per la consorte del senatore, un impiego fittizio pagato 10 mila dollari al mese.

Un’altra truffa ideata dagli imputati prevedeva che Menendez si adoperasse con le autorità competenti del governo americano per favorire la compagnia produttrice di carne “halal” di Wael Hana, diventata monopolista delle esportazioni di questo prodotto dagli USA all’Egitto. L’intervento di Menendez assicurava che non vi fossero ispezioni troppo scrupolose sulle attività della compagnia di Hana, mentre i concorrenti venivano messi regolarmente sotto torchio.

Nella sua veste ufficiale al Senato, invece, Menendez lavorava per convincere i colleghi senatori della commissione Esteri a sbloccare gli “aiuti” americani destinati alle forze armate egiziane, talvolta rimessi in discussione o sotto minaccia di essere sospesi per via dei pessimi precedenti in materia di diritti umani. Il senatore democratico a livello pubblico criticava in maniera dura il regime sanguinario di al-Sisi, mentre dietro le quinte assicurava che i finanziamenti diretti al Cairo, pari a circa 1,3 miliardi di dollari all’anno, non incontrassero ostacoli al Congresso.

L’ufficio del presidente della commissione Esteri ha d’altra parte ampia discrezione in questo genere di decisioni. È pratica comune che il dipartimento di Stato, prima di approvare il trasferimento di armi a un determinato paese, informi i presidenti delle commissioni di Camera e Senato e, in caso di loro obiezioni, le forniture vengono in genere congelate. Menendez ha infatti usato in passato la sua posizione per fermare transazioni con paesi come Turchia o Arabia Saudita a causa delle implicazioni per i diritti umani. Ma, come era spiegato nelle carte del processo, per l’Egitto Menendez rilasciava spesso dichiarazioni di condanna rinunciando però a usare il suo potere di veto.

L’incriminazione lo scorso anno del senatore Menendez aveva fatto scalpore negli Stati Uniti. In TV, sui giornali e in rete erano circolate immagini dei lingotti d’oro regalati alla coppia, assieme a quelle delle mazzette di dollari infilate nelle tasche di abiti e sparse in altri luoghi della loro abitazione. Le goffe giustificazioni di Menendez nelle successive dichiarazioni pubbliche avevano rafforzato il senso di disgusto del pubblico. Il senatore aveva in particolare cercato di spiegare che il denaro veniva conservato in casa per eventuali “emergenze” e il gesto era da collegare alla storia della sua famiglia che nella Cuba comunista era esposta al rischio di confisca dei propri beni. La famiglia di Menendez era però emigrata negli USA nel 1953, sei anni prima della presa del potere da parte di Castro e un anno prima della nascita del senatore democratico.

Il livello di corruzione emerso non è solo il riflesso delle inclinazioni personali di Menendez e della consorte, ma è inscindibile dal suo curriculum politico, segnato dal sostegno irriducibile e dallo strenuo adoperarsi per il raggiungimento degli obiettivi dell’imperialismo americano. Menendez è stato puntualmente dalla parte sbagliata della storia in trent’anni di carriera al Congresso, appoggiando fermamente gli interventi USA in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia e Ucraina, nonché l’imposizione di sanzioni contro Iran, Cuba e Venezuela.

Proprio riguardo al paese di origine della sua famiglia, durante l’amministrazione Obama aveva criticato ferocemente il processo di distensione promosso dall’allora presidente, protagonista di una storica visita a l’Avana nel marzo 2016. Allo stesso modo, Menendez si era opposto all’accordo sul nucleare sottoscritto sempre da Obama con il governo iraniano, mentre con Trump alla Casa Bianca aveva vergognosamente sottoscritto una lettera, assieme a una decina di altri senatori, nella quale invitava il presidente repubblicano a fare pressioni sull’Ecuador per rescindere la concessione dell’asilo concesso a Julian Assange nell’ambasciata di Londra.

Più recentemente, prima di dimettersi dalla carica di presidente della commissione Esteri del Senato in seguito all’incriminazione a suo carico, Menendez ha svolto un ruolo molto importante nello stanziamento di fondi e aiuti militari al regime di Zelensky, contribuendo a intensificare la guerra e far salire vertiginosamente il numero di vittime ucraine. Un altro ambito di interesse del senatore è l’offensiva anti-cinese, condivisa da democratici e repubblicani. In questo caso, Menendez ha lavorato soprattutto al rafforzamento dei rapporti tra USA e Taiwan, così da mettere in discussione la posizione ufficiale di Washington circa i rapporti tra l’isola e la madrepatria, col rischio di avvicinare una guerra rovinosa in Estremo Oriente.

La sua attività politica, a ben vedere, ha quindi causato danni molto maggiori in termini di vite umane già perse e messe potenzialmente a rischio rispetto ai crimini, comunque gravissimi, per cui è stato condannato questa settimana. Se Menendez rappresenta un caso estremo, anche se tutt’altro che unico, per quanto riguarda la corruzione e l’impegno compulsivo ad arricchirsi il più possibile usando la propria influenza politica, l’utilizzo della propria posizione a favore di un paese straniero è un connotato che contraddistingue quasi tutti i membri del Congresso di Washington. Basti pensare all’intreccio tra denaro, vantaggi politici e interessi strategici che implica l’enorme influenza esercitata da Israele su tutto l’apparato di potere degli Stati Uniti.

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