I motivi di interesse delle elezioni primarie americane di questa settimana nello stato del Michigan vanno ricercati tra le righe di risultati in larga misura scontati sia per il Partito Repubblicano sia per quello Democratico. Per il presidente Biden, in particolare, il sostegno relativamente ampio ottenuto da una blanda operazione di disturbo della sua campagna elettorale, da collegare al ruolo degli Stati Uniti nel genocidio palestinese in corso a Gaza, rappresenta un ulteriore segnale di pericolo in vista delle presidenziali di novembre. Il Michigan, come sempre, sarà uno degli stati decisivi nella corsa alla Casa Bianca e l’equilibrio che si prospetta tra i due probabili candidati potrebbe rendere fondamentale l’appoggio o meno della consistente minoranza di arabi e musulmani americani che ospita.

 

Gli organizzatori della “protesta” contro Biden avevano tra i loro promotori l’unico membro del Congresso di Washington di origine palestinese, la deputata Rashida Tlaib. Il loro scopo era di convincere il maggior numero possibile di elettori democratici a scrivere sulle schede la dicitura “non schierato” (“uncommitted”) invece di votare per il presidente, così da compattare attraverso il voto una qualche resistenza contro le politiche filo-israeliane dell’amministrazione democratica.

Il presidente in carica ha alla fine raccolto circa l’81% dei consensi, non avendo d’altra parte rivali di un qualche peso se non i poco conosciuti Marianne Williamson e Dean Phillips. I “non schierati” sono stati però più di 100 mila, superando quota 13%. L’obiettivo prima dell’apertura delle urne era di raggiungere almeno i 10 mila voti di protesta contro Biden, pari all’incirca al margine con cui Trump si era aggiudicato il Michigan nelle presidenziali del 2016 contro Hillary Clinton.

I risultati del voto di martedì sono stati quindi superiori alle aspettative in questo senso e, infatti, svariati media americani hanno dato notizia della nuova ondata di inquietudine che ha pervaso gli ambienti del Partito Democratico che temono di andare incontro a una sconfitta certa a novembre con Biden come candidato alla Casa Bianca. Il problema per il presidente non è comunque soltanto con gli elettori di fede musulmana o di origine araba, ma in generale con quelli più giovani e di orientamento progressista, sempre più ostili a un’amministrazione complice in tutto e per tutto della barbarie dello stato ebraico.

Le timide iniziative di Biden per cercare di limitare i danni alla vigilia delle primarie in Michigan sono servite a poco e, anzi, hanno probabilmente peggiorato la situazione, evidenziando la duplicità e i veri interessi del presidente. Poco prima del voto, durante un evento pubblico e in un’apparizione televisiva, Biden aveva annunciato che un accordo tra Israele e Hamas per un cessate il fuoco era molto vicino e sarebbe stato siglato entro “lunedì prossimo”.

La mossa era evidentemente diretta a influenzare la scelta dei partecipanti alle primarie, perché poco più tardi sia l’ufficio di Netanyahu sia i vertici di Hamas hanno fatto sapere che le rispettive posizioni restano lontane e ci sarà ancora molto da lavorare per trovare un’intesa su una possibile tregua.

Ancora più plateale è stata l’ammissione delle priorità dell’amministrazione Biden dopo l’incontro di martedì alla Casa Bianca tra il presidente e i quattro più importanti leader di entrambi i partiti al Congresso per rompere lo stallo dei negoziati sull’approvazione del nuovo bilancio federale. Gli Stati Uniti rischiano una nuova chiusura degli uffici pubblici (“shutdown”) se non ci dovesse essere un voto in aula entro la mezzanotte di sabato.

Alla fine del vertice, Biden ha toccato i punti principali in discussione, tra cui il nuovo pacchetto di aiuti finanziari e militari da destinare a Israele. Il presidente democratico ha in sostanza confermato che non ha nessuna intenzione di utilizzare l’unico strumento in grado di convincere Netanyahu a fermare la strage di civili a Gaza, cioè lo stop all’invio di armi e denaro. Biden ha al contrario ribadito che è necessario “rifornire le difese aeree di Israele”, così che il regime sionista possa “far fronte alle minacce di Hamas e Iran”.

La protesta elettorale contro Biden in Michigan è in ogni caso di natura molto limitata e coloro che l’hanno ideata e promossa non hanno nessuna intenzione di spingersi fino a opporsi alla candidatura del presidente uscente se le cose a Gaza non dovessero cambiare nei prossimi mesi. L’intenzione è di fare pressioni sulla Casa Bianca e alimentare l’illusione che in questo modo si possa far cambiare idea a un’amministrazione che avrebbe semplicemente commesso un errore nel sostenere e difendere il regime di Netanyahu.

I crimini di Israele sono in realtà parte integrante del progetto sionista a cui tutte le amministrazioni americane hanno dato il loro pieno sostegno proprio perché lo stato ebraico rappresenta l’alleato più importante in Medio Oriente per garantire la difesa degli interessi di Washington. Non è quindi mettendo da parte Netanyahu che i diritti e le aspirazioni palestinesi verrebbero finalmente rispettati. Per queste ragioni, la campagna lanciata dalla deputata Rashida Tlaib e da altri esponenti della “sinistra” del Partito Democratico, al di là delle attitudini personali di questi ultimi, serve in definitiva a limitare gli effetti dei malumori degli elettori nei confronti della Casa Bianca e la potenziale perdita di voti in vista del voto di novembre.

In casa repubblicana, Trump ha allungato come previsto la striscia vincente staccando di oltre 450 mila voti l’unica rivale rimasta in gara, l’ex governatrice della South Carolina ed ex ambasciatrice USA all’ONU, Nikki Haley. Trump si è assicurato il 68% dei voti espressi in Michigan contro il 26% circa della Haley. Quest’ultima, sconfitta sabato scorso anche nel suo stato di provenienza, ha comunque promesso che continuerà la campagna almeno fino all’appuntamento del “Supermartedì”, in programma martedì prossimo.

A meno di clamorose sorprese, possibilmente sul fronte giudiziario, le speranze di ribaltare gli equilibri delle primarie sono minime, ma la Haley è molto ben finanziata grazie al sostegno non solo dei grandi donatori del partito, ma anche della fazione “GOP” tradizionale e di quella riconducibile ai “neo-con”. Tra gli elettori repubblicani, invece, prevale nettamente Trump, che anche in questa tornata sembra poter riuscire a intercettare una parte non trascurabile del voto operaio.

La questione ha un certo rilievo proprio in Michigan, dove la deindustrializzazione degli ultimi decenni ha avuto conseguenze devastanti dal punto di vista economico e sociale. Trump è ovviamente consapevole delle dinamiche in questo stato dove, come già ricordato, aveva vinto di misura nel 2016. Nel suo discorso alla chiusura delle urne martedì sera, infatti, l’ex presidente ha a un certo punto invitato gli elettori a voltare le spalle ai democratici perché colpevoli di avere “distrutto l’industria automobilistica” dello stato.

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