Dal Sudan a Socotra, gli Emirati Arabi Uniti fondono “soft power” e controllo militarizzato per dominare le rotte commerciali, alimentare guerre per procura e consolidare gli interessi di sicurezza emiratino-israeliani nel Corno d'Africa e nello Yemen

 

Dal 2015, gli Emirati Arabi Uniti hanno abbandonato la loro storica posizione di neutralità a favore di ingerenze regionali assertive. Questa transizione ha coinciso con l'ascesa di Mohammed bin Zayed Al-Nahyan (MbZ) al ruolo di comandante delle forze armate e, infine, alla presidenza.

Sotto la sua guida, gli Emirati hanno accelerato una strategia che fonde militarizzazione e un'aggressiva promozione del “soft power”. Questa trasformazione si basa sullo sviluppo di capacità militari avviato negli anni '90 e ampliato rapidamente dopo il 2011, intensificandosi ulteriormente dopo il 2015.

Abu Dhabi ha stabilito basi militari, armato e finanziato fazioni alleate, reclutato eserciti mercenari e intervenuto direttamente in conflitti – in particolare nello Yemen e nel Corno d'Africa – mentre contemporaneamente promuoveva un'immagine nazionale di modernità e apertura.

Porti, profitti e milizie “proxy”

Per consolidare la propria influenza, gli Emirati Arabi hanno adottato una strategia duplice di penetrazione economica e insediamento militare. Attraverso strumenti di investimento come DP World, Abu Dhabi ha preso il controllo di rotte marittime vitali, stabilendo “hub” logistici, campi di addestramento e basi in Stati fragili e frammentati.

Queste iniziative prendono di mira punti strategici lungo il Mar Rosso e l'Oceano Indiano, in particolare lo Stretto di Bab al-Mandab e le coste dello Yemen e del Corno d'Africa, sotto la copertura di garanzie della sicurezza marittima.

Il giornalista sudanese Kamal Sir al-Khatem ha dichiarato a The Cradle che questa espansione non è puramente commerciale, ma rappresenta un più ampio progetto "sub-imperiale":

"Gli Emirati rappresentano un modello di Stato periferico che pratica l'imperialismo nella propria regione, pur rimanendo dipendente dagli Stati Uniti come principale potenza imperialista."

Al-Khatem sottolinea l'impronta da 60 miliardi di dollari degli Emirati in Africa, che li colloca appena dietro Cina, UE e USA nella classifica degli investimenti esteri. Oltre allo sviluppo portuale, questi investimenti includono logistica, catene di approvvigionamento, energia, agricoltura ed estrazione mineraria, particolarmente in Paesi con “governance” debole e scarso controllo.

L'approccio di Abu Dhabi intreccia in modo coordinato iniziative economiche e interventi militarizzati, permettendole di neutralizzare porti concorrenti e affermare il controllo su snodi cruciali come Gibuti, Aden e Port Sudan. Questi sforzi riflettono ambizioni strategiche per monopolizzare le arterie commerciali regionali e rafforzare la propria leva nel trasporto marittimo globale.

Il presidente gibutiano Ismail Omar Guelleh, in una recente intervista a Radio France Internationale (RFI), ha accusato l'emirato del Golfo di usare i suoi investimenti multimiliardari in Africa come copertura per un'espansione militare. Ha definito la campagna di investimenti da 110 miliardi di dollari di Abu Dhabi in Africa una "strategia occulta" e "una minaccia alla sovranità africana", aggiungendo:

"Non esiste un investimento neutrale. Ogni accordo su porti o infrastrutture è legato a un obiettivo geopolitico più ampio... Gli emiratini stanno profondamente destabilizzando la regione."

La normalizzazione con lo Stato occupante israeliano ha ulteriormente approfondito la cooperazione militare-strategica con gli Emirati, specialmente dopo che l'Operazione “Diluvio di Al-Aqsa” del 7 ottobre 2023 ha ridisegnato gli allineamenti in Asia occidentale. Questa collaborazione affonda le radici in dottrine di sicurezza condivise e si manifesta in progetti congiunti e collaborazione in materia di intelligence nelle zone di conflitto.

Corno d'Africa: il corridoio militarizzato di Abu Dhabi

Il Corno d'Africa è diventato un'arena cruciale per la proiezione di potere degli Emirati. In Eritrea, Abu Dhabi ha stabilito la sua prima base militare all'estero affittando per 30 anni il porto e l'aeroporto di Assab. DP World ha modernizzato il sito, trasformandolo in un “hub” per il lancio di droni e lo spiegamento di forze di terra durante la guerra nello Yemen.

Questo posizionamento rientrava in una strategia per chiudere l’ingresso occidentale del Mar Rosso, mentre veniva assicurato il controllo di quello orientale attraverso il porto yemenita di Mokha.

In Somalia, gli Emirati hanno sfruttato le tensioni tra il governo federale di Mogadiscio e la regione separatista del Somaliland. Hanno affittato il porto e l'aeroporto di Berbera nonostante l'opposizione di Mogadiscio, trasformandoli in strutture integrate per operazioni militari e di intelligence.

In Puntland, hanno rilevato il porto di Bosaso e sostenuto fazioni ostili al governo centrale. Questi interventi hanno trasformato la regione in una base per la proiezione di potere emiratina, con il possibile coordinamento Emirati-Israele per riconoscere il Somaliland in cambio di un avamposto militare.

L'impegno degli Emirati a Gibuti è iniziato nel 2006 con la gestione del terminal container di Doraleh. Tuttavia, le dispute sul contratto si sono inasprite, soprattutto dopo che Gibuti ha resistito ai tentativi di stabilire una base permanente degli Emirati.

La crisi ha portato a battaglie legali, con i tribunali arbitrali che hanno si sono espressi a favore degli Emirati. Gibuti si è rifiutato di applicare le sentenze, portando alla cancellazione del contratto con DP World e a un profondo strappo diplomatico.

Sudan: un campo di battaglia per saccheggio e controllo

Il Sudan, con i suoi 700 chilometri di costa sul Mar Rosso, rappresenta un obiettivo cruciale per le ambizioni emiratine nella regione. La posizione strategica lo rende un candidato privilegiato per il controllo portuale da parte degli Emirati. Tuttavia, i tentativi di cedere Port Sudan a DP World hanno incontrato una feroce resistenza da parte dell'Autorità Portuale Sudanese e dei sindacati, che hanno bollato gli sforzi di privatizzazione come un'ingerenza neocoloniale.

L'impegno degli Emirati in Sudan va ben oltre. Abu Dhabi è stata accusata di sostenere le Rapid Support Forces (RSF), un gruppo paramilitare coinvolto in crimini di guerra e violazioni dei diritti umani. Le campagne militari delle RSF in Darfur e oltre, caratterizzate da uccisioni ed espulsioni forzate, hanno spinto il Sudan a presentare - senza successo - un ricorso contro gli Emirati alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) nel marzo 2025.

Il contrabbando di oro costituisce un altro tassello di questa economia di guerra. Come spiega a The Cradle un anonimo analista regionale:

"Circa l'80% dell'oro contrabbandato dal Sudan è destinato agli Emirati, dove viene riesportato nei mercati internazionali, rendendoli i principali beneficiari di questo traffico. Questo commercio finanzia la guerra, in particolare a favore delle Rapid Support Forces, che gestiscono le proprie operazioni finanziarie da Dubai, in assenza di un efficace controllo sudanese."

Yemen: il trampolino di lancio imperiale di Abu Dhabi

Ma, senza dubbio, l'espansione più consolidata degli Emirati è avvenuta nello Yemen. Sotto la copertura iniziale della guerra insieme alla coalizione guidata dall'Arabia Saudita, Abu Dhabi ha poi preso una strada autonoma, costruendo metodicamente la sua influenza lungo le coste e le isole del paese.

Dopo aver assicurato il controllo su Aden, si è espansa verso est a Mukalla, Shihr e i porti dell'Hadhramaut, affermando la sua autorità sul Mar Arabico. Sul lato del Mar Rosso, ha preso il controllo del porto di Mokha dopo il fallito tentativo di penetrare a Hodeidah, rimasto sotto il controllo di Sana'a.

Le ambizioni degli Emirati si estendono anche alle isole yemenite. Socotra, con la sua posizione strategica, è stata trasformata in una base militare e di intelligence dopo il coordinamento emiratino-israeliano. Dall'Operazione Diluvio di Al-Aqsa dell'ottobre 2023, gli sforzi per consolidare questa presenza si sono intensificati. Nel febbraio 2024, una società emiratina ha acquisito in modo controverso l'aeroporto di Socotra, scatenando l'indignazione popolare.

Ahmed al-Hasani, portavoce del Consiglio Nazionale di Salvezza dello Yemen del Sud, racconta a The Cradle che gli Emirati sono entrati nello Yemen meridionale attraverso un accordo del 2008 con l'ex presidente Ali Abdullah Saleh per gestire il porto di Aden, solo per paralizzarlo a favore di Jebel Ali a Dubai. Dal 2015 in poi, ha ampliato la sua portata per includere Shabwa, Mokha e le isole di Socotra e Mayun.

Nonostante la vasta influenza, gli Emirati non sono riusciti a contrastare le minacce delle Forze Armate Yemenite (YAF) allineate a Sana'a contro il traffico navale israeliano nel Mar Rosso. Hasani sottolinea che Abu Dhabi ha aperto canali di comunicazione discreti con Sana'a per salvaguardare i suoi interessi, chiedendo di fatto la neutralizzazione dei suoi stessi “proxy”:

"Il controllo degli Emirati sui porti yemeniti non ha solo una dimensione economica, ma è legato a un progetto di sicurezza strategico nel quale collabora con Israele e Stati Uniti, comprendendo il Mar Rosso, il Mar Arabico e persino il Corno d'Africa e l'Oceano Indiano."

Attraverso Sudan, Corno d'Africa e Yemen, la politica estera degli Emirati riflette una ricerca di dominio marittimo, influenza regionale ed egemonia economica.

Si tratta di un modello di sub-imperialismo inserito nella proiezione di potenza statunitense - un sistema che si fonda su instabilità, accordi con le élite e l'uso strategico di “soft power” ammantato di modernità.

Le reazioni delle popolazioni locali, dei movimenti di resistenza e degli Stati regionali potrebbero alla fine far naufragare questo ambizioso progetto.

 

di Mawadda Iskandar

Fonte: The Cradle

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