L’amministrazione Trump continua a fare carta straccia della Costituzione americana, in molti casi con la collaborazione attiva del potere giudiziario, incluso il tribunale più alto del paese, la Corte Suprema degli Stati Uniti. La recente sentenza di quest’ultima sul caso dell’espulsione dagli USA di centinaia di immigrati, prevalentemente venezuelani, è l’ultimo episodio preoccupante registrato in questo contesto dall’inizio del secondo mandato del presidente repubblicano. Il caso fa riferimento al cosiddetto “Alien Enemies Act” del 1798, che Trump aveva invocato lo scorso mese di marzo per deportare i migranti in un lager in El Salvador senza la possibilità per questi ultimi di ricorrere contro la decisione davanti a un tribunale federale.

Il contenuto del verdetto della Corte Suprema ha dato l’apparenza del rispetto dei diritti costituzionali ma, dietro a una questione di natura tecnica, apre la strada alla demolizione del principio democratico del “habeas corpus”. L’amministrazione Trump ha infatti celebrato immediatamente la sentenza come un successo, anche se le associazioni a difesa dei diritti civili, alcune delle quali coinvolte nel procedimento giudiziario, si sono dette in parte soddisfatte. La Corte ha riconosciuto l’obbligo di comunicare preventivamente i provvedimenti di espulsione ai migranti o a qualsiasi altro individuo colpito da misure simili, in modo che essi abbiano appunto la possibilità di contestarle davanti a un giudice.

Ciò risulta in effetti dalla sentenza emessa nella serata di lunedì. Tuttavia, nello specifico, la Corte Suprema ha cancellato la sospensione dell’ordine di deportazione degli immigrati interessati dal processo e che già hanno lasciato forzatamente il territorio americano. Questa ingiunzione contro l’amministrazione Trump era stata emessa dal giudice federale del distretto di Washington, James Boasberg. L’ordine era stato deliberatamente ignorato dalle autorità americane, così che i voli destinati a El Salvador con a bordo i migranti espulsi erano comunque arrivati a destinazione. Boasberg aveva allora citato la stessa amministrazione repubblicana per oltraggio alla corte, ma il verdetto della Corte Suprema ha annullato qualsiasi provvedimento contro la Casa Bianca e lasciato gli immigrati al loro destino.

Anche se, dunque, la maggioranza ultra-conservatrice della Corte Suprema ha ratificato l’obbligo del rispetto del dettato costituzionale, garantendo in teoria il diritto a un ricorso davanti a un tribunale federale per i destinatari di un ordine di espulsione, essa ha allo stesso tempo dichiarato legittima la violazione di questo diritto da parte del governo di Washington. Il meccanismo tecnico già citato a cui ha fatto riferimento la Corte consiste nel fatto che tali ricorsi devono essere presentati nella giurisdizione in cui si verifica l’arresto dei migranti. Per il caso specifico in discussione, si tratta dello stato del Texas. Ciò comporta giudici generalmente conservatori (reazionari) meno propensi a favorire gli immigrati e, sempre per il caso in discussione, l’inizio di un nuovo procedimento praticamente da zero e con possibilità quasi nulle di un ritorno in America dei migranti espulsi.

La base pseudo-legale della decisione di Trump era un’assurda dichiarazione che faceva appello all’Alien Enemies Act, una legge usata pochissime volte in passato e sempre con gli Stati Uniti in stato di guerra, in relazione a una inesistente “invasione” da parte dei membri della gang venezuelana “Tren de Aragua”. I cittadini venezuelani espulsi e che risiedevano in America sono stati accusati di far parte di questa organizzazione criminale, quasi sempre senza nessuna prova o sulla base di elementi come la presenza sul corpo di un tatuaggio qualsiasi. Grazie a un accordo con il presidente fascistoide salvadoregno, Nayib Bukele, i migranti espulsi sono finiti in un carcere di massima sicurezza del paese centro-americano, detenuti indefinitamente, senza un’incriminazione formale e in totale violazione dei più basilari diritti democratici.

Che le implicazioni della sentenza di lunedì della Corte Suprema siano di vasta portata lo si comprende dal tono delle opinioni dissenzienti scritte dai giudici di minoranza. La giudice Sonia Sotomayor ha avvertito ad esempio che il punto di vista dell’amministrazione Trump comporta che “non solo gli immigrati ma anche i cittadini americani possano essere sequestrati per strada, costretti a salire su un aereo e confinati in carceri di un paese straniero senza possibilità di ricorso”, anche nel caso “la revisione legale [dei singoli casi] venga negata in maniera illegale prima della [loro] deportazione”. La stessa Sotomayor ha aggiunto che “la storia non è nuova a simili regimi arbitrari, ma il sistema legale di questo paese è concepito per evitare, non favorire, la loro nascita”.

Non appare dunque eccessivo sostenere che i giudici di maggioranza della Corte Suprema stanno collaborando attivamente con Trump per smantellare i principi costituzionali e gettare le basi di una dittatura presidenziale. La stessa maggioranza della Corte che ha annullato la sospensione delle espulsioni illegali di immigrati è d’altra parte la stessa che l’estate scorsa aveva concesso al presidente degli Stati Uniti l’immunità assoluta nell’esercizio delle sue funzioni, anche se ciò include, potenzialmente, colpi di stato o assassini. Quella sentenza si riferiva appunto al procedimento in cui Trump era coinvolto per l’assalto all’edifico del Congresso nel gennaio del 2021 nel tentativo di ribaltare l’esito delle elezioni del novembre precedente e impedire l’insediamento di Joe Biden.

I provvedimenti contro i migranti appena descritti sono solo una parte della guerra contro la legalità costituzionale condotta precocemente da questa amministrazione. La libertà di opinione e di parola, fissata nel Primo Emendamento della Costituzione USA, è un altro dei bersagli di Trump, come si può constatare dalla feroce repressione ai danni di studenti e di chiunque esprima critiche contro il regime di Netanyahu per il genocidio in corso contro il popolo palestinese. Arresti e deportazioni soprattutto di cittadini stranieri residenti legalmente negli Stati Uniti si stanno moltiplicando, in parallelo a una caccia alle streghe di stampo maccartista che interessa moltissimi campus universitari americani.

L’equiparazione delle critiche contro la violenza sionista all’antisemitismo è uno dei pretesti della campagna repressiva in atto. L’altro è la presunta “emergenza” migratoria. A questo proposito, poco dopo il suo insediamento a gennaio, Trump aveva chiesto al dipartimento della Difesa e a quello della Sicurezza Interna di presentare entro 90 giorni raccomandazioni per l’eventuale implementazione del “Insurrection Act”. Quest’ultima è una legge del 1807 che consente di impiegare i militari sul suolo americano con funzioni di polizia, aggirando, in caso di una rivolta interna o grave emergenza nazionale, il “Posse Comitatus Act”, che proibisce invece questa eventualità.

Portando la situazione attuale alle estreme conseguenze, non è difficile immaginare una situazione nella quale i destinatari di provvedimenti di sequestro e arresto in maniera arbitraria e senza un intervento della magistratura siano cittadini americani, inclusi giornalisti, politici o avvocati, evidentemente sulla base delle loro opinioni o delle loro attività politiche in opposizione al governo. L’attacco frontale contro i migranti, vale a dire la parte della popolazione più vulnerabile e indifesa, è in altri termini un’anticipazione di quello che l’amministrazione Trump sta probabilmente preparando per schiacciare la resistenza contro l’accentramento dei poteri nelle proprie mani.

Un processo che deriva direttamente dalla composizione di un regime fatto da super-ricchi e che, in un frangente storico caratterizzato dalla crisi profonda del capitalismo americano, di questi ultimi difende gli interessi esclusivi, come dimostra l’assalto al welfare, al settore pubblico e al sistema di tassazione progressivo – o ciò che resta di esso – condotto dalla Casa Bianca e da agenzie improvvisate, come il cosiddetto dipartimento per l’Efficienza del Governo (DOGE), sotto la direzione di fatto di Elon Musk.

Quello che sta accadendo negli Stati Uniti non è in ogni caso il frutto della mente del solo Donald Trump, ma la conseguenza di un processo di degrado democratico che dura da almeno due decenni e a cui ha contribuito attivamente, oltre alla magistratura o una parte di essa, anche il Partito Democratico, sul quale d’altra parte è inutile fare affidamento per fermare questa deriva autoritaria. Uno scenario, quello in piena evoluzione negli USA, che prospetta tuttavia un’esplosione del conflitto sociale e dell’opposizione politica al di fuori dei circuiti ufficiali. Un primo assaggio di ciò si è avuto, nel disinteresse quasi assoluto dei media ufficiali, lo scorso fine settimana, con centinaia di migliaia o, più probabilmente, qualche milione di americani scesi nelle strade di moltissime città per manifestare contro le politiche dell’amministrazione Trump.

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