Israele ha annunciato l'istituzione di un ufficio per l’“emigrazione volontaria” dei palestinesi da Gaza. Non è la prima volta che il governo israeliano tenta una mossa del genere, e anche stavolta è destinata a fallire.
Domenica scorsa, il gabinetto di guerra israeliano ha approvato la creazione di un’agenzia speciale per organizzare l’“emigrazione volontaria” dei palestinesi da Gaza. La mossa rientra nel piano originariamente annunciato dal presidente americano Donald Trump per espellere i palestinesi dalla Striscia, sebbene gli Stati Uniti abbiano poi fatto marcia indietro.
Il canale israeliano Channel 12 ha dato la notizia che al governo sono stati illustrati gli “aspetti internazionali” legati alla creazione di questa agenzia speciale e che il Ministero della Difesa israeliano, guidato da Israel Katz, supervisionerà l’elaborazione e l’attuazione dei piani di espulsione.
Katz ha dichiarato che il Ministero implementerà il piano nell’ambito di un quadro “legale” sia locale che internazionale, in coordinamento con organizzazioni internazionali e altri paesi. Ha aggiunto che verrà creata l’infrastruttura necessaria per trasferire un così elevato numero di palestinesi fuori da Gaza.
L’idea di istituire un organismo speciale per trasferire i palestinesi da Gaza non è nuova. Nel 1971, Israele avviò un piano per “sfoltire” la popolazione di Gaza, contattando i palestinesi e offrendo loro il trasferimento in Egitto, sotto la minaccia di demolire le loro abitazioni in caso di rifiuto.
Ma questa volta il tentativo di Israele appare diverso: è esplicito, pubblico e gode del pieno sostegno degli Stati Uniti. Ancora più importante, questa volta Netanyahu è disposto a fare di tutto per realizzare il suo programma di trasferimento. Ma non servirà comunque a eliminare la resistenza palestinese, anche se Gaza venisse etnicamente ripulita.
Il contesto: una guerra per il controllo di tutta la Palestina
La creazione di un organismo speciale per espellere i palestinesi da Gaza è stata richiesta per mesi dal ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, come parte della sua controproposta a un cessate il fuoco. Lunedì, il governo israeliano ha dichiarato in un comunicato che il segretario di Stato americano Marco Rubio ha assicurato in una telefonata a Benjamin Netanyahu che Washington sostiene “senza dubbio” le politiche di Israele. E proprio la scorsa settimana, i media israeliani hanno riferito che Israele sta attualmente preparando piani per occupare permanentemente Gaza e controllarne la popolazione.
Tutti questi piani si stanno concretizzando mentre Israele intensifica la sua vasta operazione militare nella Cisgiordania settentrionale, in particolare nelle città di Jenin, Tulkarem e Tubas, da dove sono già stati espulsi almeno 40.000 palestinesi. A novembre, il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich aveva dichiarato che cacciare i palestinesi da Gaza attraverso una “migrazione volontaria” avrebbe “stabilito un precedente” per fare lo stesso successivamente in Cisgiordania. In questo contesto, gli ultimi piani per creare un ufficio speciale non sono isolati dalle strategie di Israele per imporre il suo controllo su tutta la Palestina, inclusi i progetti di annessione della Cisgiordania. Ciò è anche in linea con la “Legge sullo Stato-nazione”, approvata dalla Knesset nel 2018, che stabilisce che il diritto all’autodeterminazione tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo è esclusivamente del popolo ebraico.
La decisione rappresenta l’ultimo episodio dei tentativi israeliani di espellere i palestinesi da Gaza, intensificatisi dopo il 7 ottobre 2023. Nei due mesi precedenti l’accordo di cessate il fuoco a Gaza, Israele si era concentrato sullo svuotamento della parte settentrionale del territorio attraverso un assedio totale, la fame, la distruzione delle infrastrutture civili e i bombardamenti quotidiani. Si era trattato di un'operazione su vasta scala, nota come “Piano dei Generali”.
Nel frattempo, i gruppi di coloni israeliani appoggiati da ministri e parlamentari di estrema destra hanno continuato a invocare il reinsediamento israeliano a Gaza.
Israele non ha solo distrutto tutte le infrastrutture civili nella Striscia e annientato i sistemi sanitario ed educativo, ma ha anche assassinato leader e direttori dei servizi civili, in particolare nell’ambito della somministrazione della legge e nella gestione dell’ordine pubblico. Lo scorso anno è stato ucciso Faiq Mabhouh, capo delle operazioni di polizia di Gaza, che era responsabile della sicurezza nella distribuzione degli aiuti umanitari nel nord della Striscia.
Dalla ripresa della campagna militare su Gaza la scorsa settimana, Israele ha eliminato numerosi esponenti civili e politici del governo di Hamas, tra cui: il coordinatore dell'azione governativa a Gaza, il vice ministro della Giustizia, il vice ministro degli Interni e il capo del Servizio di Sicurezza. Martedì, la Protezione Civile palestinese a Rafah ha denunciato il rapimento da parte delle forze israeliane di 15 soccorritori. Israele continua inoltre a tenere agli arresti il direttore dell'ospedale Kamal Adwan, il dottor Husam Abu Safiyeh, insieme a numerosi medici e infermieri catturati nel centro medico del nord Gaza.
Queste pratiche rientrano in una strategia precisa: smantellare i servizi civili e, con essi, la capacità della società di Gaza di riorganizzarsi e ricostruirsi. Tutto punta in un’unica direzione: porre fine alla presenza collettiva dei palestinesi a Gaza. Nonostante la retorica sulla sostituzione demografica della destra israeliana, questa volta c’è un ulteriore fattore che alimenta gli sforzi di Israele per espellere i palestinesi da Gaza: Israele ha deciso che la sua attuale battaglia con la resistenza palestinese a Gaza sarà l'ultima.
Il dilemma di Israele nel confrontarsi con la resistenza palestinese è sempre stato che, a differenza degli eserciti regolari, le forze di resistenza irregolari sono parte del tessuto sociale della popolazione occupata. I gruppi di resistenza non si “infiltrano” tra la popolazione, come Israele sostiene continuamente, ma emergono dalla popolazione stessa.
I membri dei gruppi militanti palestinesi provengono dagli stessi quartieri, case, famiglie e comunità in cui operano. La strategia preferita da Israele per decenni è stata la stessa politica elevata a dottrina dall’ex capo di stato maggiore Gadi Eizenkot dopo la guerra del Libano del 2006 - la cosiddetta “dottrina Dahiya”. Essa consiste nel colpire la popolazione civile e le sue infrastrutture finché la resistenza non cede o la popolazione non si rivolta contro di essa.
Risultando impossibile conseguire questi risultati, Israele ha deciso di porre fine a questo capitolo di resistenza sradicandola completamente - e con essa tutti i palestinesi.
Nel 1982, dopo anni di tentativi falliti di scoraggiare la resistenza palestinese nei campi profughi libanesi, che attaccavano le postazioni israeliane dal sud del Libano, Israele decise di sradicare l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina dal Libano (OLP). Dopo tre mesi di assedio e bombardamenti su Beirut, l’OLP accettò di trasferire via mare tutta la sua leadership e migliaia dei suoi combattenti fuori dal Libano.
Dopo alcuni mesi dall’inizio del genocidio in corso a Gaza, gli israeliani speravano che Hamas avrebbe seguito il “modello Libano”. Nel 1982, l'uscita delle forze palestinesi dal Libano fu una soluzione semplice, perché i palestinesi operavano in un paese ospitante che, nonostante tutta la simpatia della sua popolazione per la causa palestinese, non era il loro. La guerra civile in Libano era anche sintomo del fatto che una parte della società libanese non voleva che il Libano continuasse a essere una base per le attività di resistenza palestinese.
Lo stesso processo non può accadere a Gaza.
Gli anni successivi all’abbandono dell’OLP del Libano videro un intenso sforzo da parte dei leader e delle organizzazioni palestinesi per riportare il centro del movimento nazionale palestinese in Palestina. Per la leadership dell’OLP, ciò significò impegnarsi in negoziati che culminarono negli Accordi di Oslo e nella creazione dell’Autorità Palestinese. Ma per altre forze palestinesi, significò gettare le basi per la resistenza palestinese all’interno dei territori occupati. Questa direzione portò infine all’esplosione di ogni forma di attivismo civile e militante palestinese durante la Prima Intifada tra il 1987 e il 1993. In quel periodo nacque Hamas.
Gli attacchi del 7 ottobre 2023 rappresentano l’ultimo episodio di una lunga storia di confronto tra Israele e la popolazione di Gaza, composta in maggioranza da rifugiati, che risale a decenni prima della nascita di Hamas.
Secondo documenti rivelati dalla BBC nell’ottobre 2023 e riportati dai media israeliani lo scorso anno, i piani israeliani del 1971 per trasferire migliaia di palestinesi da Gaza seguirono un’ondata di attività di resistenza che aveva causato la morte di 43 soldati israeliani e il ferimento di altri 336, mentre Israele uccise circa 240 palestinesi e ne ferì 878 tra il 1968 e il 1971.
All’epoca Gaza contava 385.000 palestinesi, per lo più rifugiati del 1948 e i loro discendenti. Israele lanciò un piano per “sfoltire” la popolazione di Gaza, al fine di ridurre le attività di resistenza, smantellando intere parti di campi profughi e trasferendo almeno 10.000 palestinesi fuori dalla Striscia, soprattutto nel deserto del Sinai allora occupato da Israele. Molti erano familiari di militanti palestinesi e la maggior parte non era sospettata di alcuna attività. Questa campagna è stata documentata da Anne Irfan ed è stata citata più volte dai media israeliani.
Israele è determinato a fare di questo scontro l’ultimo round del confronto storico con la resistenza di Gaza, un fenomeno ben più profondo, antico e complesso della sola organizzazione Hamas. Per questo, i leader israeliani vogliono applicare il modello di Beirut e sradicare le basi sociali di qualsiasi futura resistenza.
Gaza non è Beirut
Un punto cruciale sfugge alla comprensione dei leader israeliani e dei loro alleati a Washington: Gaza non è un paese ospitante per i palestinesi. Applicare il modello libanese non funzionerà a meno di sfollare l'intera popolazione. La società di Gaza è molto più della semplice infrastruttura materiale che può essere distrutta con gli esplosivi: è un tessuto sociale e un senso di identità radicato nel territorio stesso. Un’intera civiltà non può essere semplicemente smantellata come un gruppo di occupanti abusivi o immigrati clandestini.
Soprattutto, gli abitanti di Gaza non hanno alcun altro posto dove andare. Nel 1982, i paesi arabi erano disposti ad accogliere i combattenti palestinesi in uscita dal Libano perché si allontanavano dai confini della Palestina e, quindi, dalla lotta armata, mentre era in corso un progetto politico guidato dagli Stati Uniti per avviare negoziati sotto Reagan. Questa volta non c’è alcun orizzonte politico, e spostare i palestinesi fuori da Gaza significherebbe gettare le basi per un’ondata di resistenza palestinese ancora più radicale nei paesi in cui i palestinesi di Gaza verrebbero mandati. Nessun paese vuole trovarsi a fronteggiare uno scenario del genere sul proprio territorio.
I palestinesi che imbracciarono le armi contro Israele in Libano prima del 1982 erano i figli di coloro che erano stati espulsi nel 1948. Israele dovette inseguirli 33 anni dopo e, di conseguenza, trasformò il Libano in una parte attiva del conflitto, come lo è ancora oggi.
La variabile cruciale qui non è la geografia. Non importa se i palestinesi si trovano ai confini della loro patria o a migliaia di chilometri di distanza. Ciò che fa la differenza è l’orizzonte politico che hanno davanti. Dopo il 1982 esisteva un progetto politico per uno Stato palestinese nell’ambito della soluzione dei due Stati. Dopo il 1948 - come oggi - questo progetto non esisteva. Ed è questo che rende la resistenza inevitabile.
Ciò che Israele e i suoi sostenitori ancora non riescono ad accettare è che la lotta palestinese non è una questione di sicurezza, ma un problema politico. I palestinesi combattono per i loro diritti e finché questi diritti non saranno raggiunti, continueranno a combattere.
Qualsiasi mega-progetto per modificare la geografia, la demografia o addirittura il cosmo stesso, senza una soluzione politica che includa i diritti fondamentali di un intero popolo, è destinato a fallire.
di Qassam Muaddi
Fonte: Mondoweiss