Molte delle dichiarazioni pubbliche più provocatorie del neo-presidente americano Trump vengono commentate con un certo disinteresse dagli osservatori e dalla stampa “mainstream” perché giudicate come l’espressione di una personalità impulsiva o, tutt’al più, soltanto parte di strategie negoziali. Se ciò è talvolta indiscutibile, in altre circostanze le uscite di Trump rivelano piuttosto l’allineamento in corso o già ultimato tra la retorica ufficiale e le politiche effettivamente implementate o in fase di elaborazione dall’apparato di potere americano. Così sembra essere anche per le recenti affermazioni sul futuro della striscia di Gaza, pronunciate nel fine settimana a bordo dell’aereo presidenziale e che rappresentano l’adozione formale della pulizia etnica come politica del governo degli Stati Uniti.

Dopo nemmeno una settimana dal ritorno alla Casa Bianca, Trump ha dunque chiarito le intenzioni della sua amministrazione, celebrata invece solo pochi giorni fa per avere facilitato il cessate fuoco a Gaza dopo oltre quindici mesi di genocidio. Parlando di un suo colloquio telefonico con il re della Giordania, Abdullah II, il presidente USA ha proposto una soluzione che ha cercato di presentare come umanitaria e unica in grado di risolvere il “caos” provocato dai “molti conflitti” avvenuti nel corso dei secoli.

Dal momento che “qualcosa deve essere fatto” per rimediare a questa situazione, l’ideale sarebbe “ripulire tutto” il territorio della striscia, ovvero cancellare l’intera popolazione palestinese da Gaza. Trump ha perciò invitato il sovrano hascemita a ricevere verosimilmente altre centinaia di migliaia di palestinesi entro i confini della Giordania e la stessa “proposta” intende farla al presidente egiziano al-Sisi. Il governo di Amman ha subito respinto il progetto di Trump, come già aveva fatto nei mesi scorsi quando, come si vedrà più avanti, l’idea del trasferimento forzato dei palestinesi di Gaza era circolato negli ambienti sionisti più radicali.

Le dichiarazioni di Trump non sono casuali né estemporanee, visto che seguono di pochi giorni un’altra uscita sull’argomento. Lunedì scorso, il neo-presidente aveva definito Gaza una “location eccezionale” che dovrebbe essere “ricostruita in maniera differente”. Il riferimento al clima e al mare lasciava intendere la possibilità di offrire la “location” alla colonizzazione israeliana, nonché alla speculazione edilizia direttamente collegata agli interessi personali della famiglia Trump.

È quasi superfluo ricordare che la Convenzione di Ginevra proibisce il trasferimento forzato di una popolazione che vive in un territorio occupato. Lo sradicamento di un popolo dalla propria terra è in sostanza un crimine di guerra e, di conseguenza, la soluzione avanzata da Trump è esattamente questo, nonostante le precisazioni che dovrebbero far passare il progetto come una sorta di atto umanitario. Il presidente repubblicano ha ricordato correttamente come a Gaza sia stato “distrutto quasi tutto”, sia pure senza citare i responsabili, e che per questo lui stesso vorrebbe adoperarsi con “qualche altro paese arabo” e favorire la costruzione di abitazioni in una location diversa, dove la popolazione palestinese potrebbe, “forse, vivere in pace”.

La proposta corrisponde, né più né meno, a un’altra Nakba, cioè l’espulsione di oltre 1,5 milioni di palestinesi dalla striscia di Gaza, dove non avrebbero più la possibilità di fare ritorno. Questa soluzione è identica a quella che sta studiando l’estrema destra sionista in Israele fin dall’indomani dei fatti del 7 ottobre 2023 e, infatti, il ministro delle Finanze ultra-radicale, Bezalel Smotrich, ha subito espresso il suo appoggio alle dichiarazioni di Trump. Smotrich, citato dal Financial Times, ha sostenuto che per ottenere nuove soluzioni di “pace e sicurezza” serve pensare “fuori dagli schemi”.

Va comunque sottolineato che le affermazioni di Trump non fanno che riconoscere in maniera esplicita il contenuto di politiche genocide che l’amministrazione Biden ha perseguito per quindici mesi dietro la facciata della soluzione a “due stati” e l’impegno apparente a fermare la strage di palestinesi a Gaza. Quello che distingue Trump, su questa come su altre questioni di politica internazionale, è la liquidazione delle formalità diplomatiche e l’appoggio incondizionato alla pulizia etnica e al progetto sionista della “Grande Israele”.

Una scelta confermata precocemente, sempre settimana scorsa, dalla candidata dell’amministrazione Trump alla carica di ambasciatore USA presso le Nazioni Unite, Elise Stefanik. Quest’ultima, nel corso di un’udienza di conferma al Senato, aveva dichiarato che Israele ha un “diritto biblico” all’intero territorio della Cisgiordania. Se ci fossero dubbi sulle attitudini di Trump, le parole del fine settimana a sostegno di fatto della “soluzione finale” voluta da Israele per la popolazione palestinese si sono accompagnate alla decisione del neo-presidente americano di sbloccare la fornitura di bombe da oltre 900 chilogrammi a Tel Aviv, dopo che Biden l’aveva congelata la scorsa estate. Questi ordigni sono stati usati regolarmente dalle forze israeliane durante la guerra per demolire interi isolati delle città della striscia, rendendole di fatto inabitabili.

L’uscita di Trump sul trasferimento forzato dei palestinesi di Gaza coincide tristemente anche con l’80esimo anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Nel parlare di “pulizia” a proposito della popolazione della striscia, il neo presidente cita letteralmente un’espressione che era solito usare Adolf Hitler a proposito degli ebrei che vivevano in Germania. L’accostamento dei discorsi di Trump a quelli del dittatore nazista non è peraltro inedito, come avevano confermato ad esempio durante la campagna elettorale svariati comizi infuocati contro gli immigrati clandestini.

Il conformarsi di Trump ai piani del regime di Netanyahu appare dunque più che evidente. L’operazione di Hamas il 7 ottobre 2023 aveva avviato manovre per portare al centro del dibattito politico in Israele la questione dell’espulsione dei palestinesi da Gaza. L’obiettivo non era per nulla nuovo, ma era emerso pubblicamente in più occasioni nel tentativo di sfruttare l’indignazione dell’opinione pubblica mondiale per i presunti crimini commessi dal movimento di liberazione palestinese. Letteralmente qualche giorno più tardi, la stampa israeliana aveva riportato una proposta del ministero dell’Intelligence per trasferire la popolazione della striscia nella penisola del Sinai. Un progetto presentato anche in quella occasione come una misura umanitaria per salvare le vite dei civili.

Il documento era stato seguito da iniziative concrete per convincere i partner occidentali di Israele a fare pressioni sull’Egitto e su altri regimi arabi, così da convincerli ad accogliere definitivamente sul loro territorio oltre due milioni di profughi palestinesi. La questione era troppo esplosiva per trovare un consenso generalizzato anche tra i sostenitori europei del genocidio palestinese, così come tra i paesi arabi. Gli sforzi israeliani in questo senso non si sono tuttavia fermati e ancora negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli appelli e le manovre sia per implementare l’evacuazione totale dei palestinesi sia per normalizzare questa soluzione agli occhi della comunità internazionale.

Per il momento, Netanyahu ha accettato la mediazione del Qatar per sbloccare il ritorno dei palestinesi nel nord della striscia, come previsto dall’accordo sul cessate il fuoco, dopo che i movimenti in questa direzione erano stati sospesi dalle forze di occupazione a causa di una diatriba con Hamas sulla liberazione di una militare israeliana detenuta a Gaza. L’immediato futuro per gli abitanti dell’enclave resta però incertissimo, come dimostrano appunto le dichiarazioni di Trump del fine settimana.

L’uscita pubblica del presidente repubblicano conferma comunque come gli Stati Uniti continuino a spostare in avanti i paletti di quanto sia o meno accettabile nel quadro della politica estera e delle relazioni internazionali, riflettendo una deriva anti-democratica, per non dire interamente criminale, che caratterizza in pratica tutti i paesi occidentali. Per quindici mesi, i governi e i mezzi di comunicazione di questi ultimi hanno fatto di tutto per minimizzare la gravità di quanto stava accadendo a Gaza, guardandosi bene dall’usare la parola “genocidio” sia pure facilitandolo, ma il ritorno di Trump alla Casa Bianca minaccia di gettare la maschera sugli obiettivi e le implicazioni della guerra condotta da Israele, facendo aumentare sì il livello di brutalità ma radicalizzando al contempo la resistenza tra i palestinesi e i loro sostenitori nel resto del pianeta.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy