La guerra in Siria, lungi dall'essere conclusa, continua a rappresentare un terreno di scontro tra le grandi potenze e i loro interessi strategici. Protagonista di questa fase è Abu Mohammad al-Jolani, il leader di Hay'at Tahrir al-Sham (HTS), un tempo affiliato ad al-Qaeda e ora apparentemente riciclato in un ruolo più accettabile per le cancellerie occidentali. La metamorfosi di al-Jolani non è solo personale, ma anche simbolica di come l'Occidente manipola e ridefinisce le sue alleanze in Medio Oriente. In un contesto in cui il controllo delle risorse e delle rotte strategiche resta prioritario, al-Jolani si è trasformato da terrorista in interlocutore, incarnando una strategia imperiale che strumentalizza gruppi armati per esercitare pressione geopolitica.

Negli ultimi giorni, al-Jolani, che da poco ha opportunamente ripreso il suo vero nome, Ahmed al-Shara’a, ha intensificato i suoi incontri con diplomatici occidentali e mediorientali, consolidando il suo ruolo di intermediario privilegiato in Siria. Il leader di HTS ha avuto colloqui con rappresentanti degli Stati Uniti, di alcuni paesi europei e di nazioni del Golfo, nonché con il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan. Questi incontri, ufficialmente presentati come un tentativo di garantire stabilità e coordinamento umanitario nella regione, si inseriscono in una strategia più ampia che vede l'Occidente impegnato a ridefinire le dinamiche di potere mediorientali. La figura di al-Jolani e il suo movimento vengono progressivamente rimodellati per fungere da strumento contro l'influenza russa e iraniana nella regione.

Questa evoluzione trova piena conferma nella recente creazione di un “governo” di HTS nel nord-ovest della Siria, progettato per offrire una patina di legittimità internazionale. Tale struttura politica non è altro che una facciata per consolidare il dominio occidentale attraverso un alleato locale che possa operare con maggiore flessibilità rispetto ai tradizionali attori statali. Gli Stati Uniti e i loro partner sembrano intenzionati a sfruttare HTS per arginare l’influenza di Teheran e Mosca, dimostrando come la logica imperialista continui a manipolare i conflitti interni della Siria per perseguire obiettivi geopolitici globali.

L’ipocrisia di queste manovre è evidente, considerando come gli stessi governi che ieri demonizzavano al-Jolani oggi si affrettano a legittimarlo come interlocutore. Due settimane dopo la caduta di Assad, gli Stati Uniti hanno cancellato la taglia da 10 milioni di dollari sulla testa del leader di HTS, mentre l’amministrazione Biden ha annunciato che sosterrà un nuovo governo siriano a precise condizioni. Tra queste, l’impegno a rinunciare al terrorismo e la distruzione di presunti depositi di armi chimiche. Dichiarazioni che tradiscono il vero scopo: rafforzare l’influenza occidentale in una Siria post-Assad, mascherando gli obiettivi imperialisti dietro una retorica di "diritti umani" e "assistenza umanitaria".

In parallelo, i principali alleati occidentali non perdono tempo nel ricalibrare le loro politiche. Diplomatici di Francia, Germania e Regno Unito hanno incontrato alti rappresentanti di HTS, arrivando persino a farsi fotografare con esponenti di un’organizzazione che nei loro paesi rimane formalmente classificata come terrorista. Londra ha persino annunciato un massiccio programma di aiuti economici per un valore di 50 milioni di sterline, destinati a quella stessa Siria settentrionale controllata da HTS. Intanto, il Qatar ha riallacciato le relazioni diplomatiche con i nuovi leader siriani, segno di un progressivo riposizionamento delle potenze regionali sotto l’egida occidentale.

La Turchia, nonostante i suoi storici legami ambigui con Hay'at Tahrir al-Sham (HTS), ha recentemente abbandonato ogni pretesa di distanza formale, riaprendo la propria ambasciata a Damasco. Il Ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha dichiarato in un'intervista televisiva che "nessuno conosce questo gruppo meglio della Turchia", segnalando un cambiamento significativo nella narrativa ufficiale. Questa mossa è accompagnata dall'impegno del presidente Erdogan a fornire supporto militare e logistico a HTS, un'alleanza che punta a rafforzare la posizione di Ankara nella ricostruzione della Siria post-Assad, a impedire la formazione di uno stato curdo indipendente e a consolidare l’influenza di Ankara sui corridoi strategici che attraversano il Medio Oriente.

L'obiettivo della Turchia è chiaro: sfruttare la sua vicinanza a HTS per ottenere un ruolo di primo piano nella riorganizzazione politica e economica della regione. In un’intervista al quotidiano turco Yeni Safak, al-Shara’a/Jolani ha lodato il partenariato emergente con Ankara, definendolo strategico per la ricostruzione del nuovo stato siriano. Tuttavia, il sostegno turco a HTS non è privo di rischi, poiché potrebbe alienare i rapporti con altre potenze regionali, oltre a sollevare nuove tensioni all’interno della NATO, dove già esistono divergenze sulla gestione del dossier siriano.

La caduta di Assad e l'emergere di HTS come nuovo interlocutore politico hanno in ogni caso complicato ulteriormente il panorama siriano, esacerbando le tensioni tra Turchia e Israele. Ankara, con il suo sostegno dichiarato a HTS e il rafforzamento delle relazioni strategiche con i nuovi leader siriani, rischia di entrare in conflitto con gli interessi israeliani, che mirano a mantenere un controllo ferreo sulla regione. Le recenti manovre militari di Israele in Siria, mirate a eliminare residui delle infrastrutture iraniane e a prevenire la formazione di nuovi fronti ostili, potrebbero incrociarsi con gli obiettivi strategici turchi, aprendo la strada a una potenziale escalation.

Israele, infatti, ha intensificato le incursioni aeree in territorio siriano subito dopo la caduta di Assad, colpendo obiettivi che ritiene cruciali per la sicurezza nazionale, tra cui presunti depositi di armi chimiche e postazioni militari legate a forze filo-iraniane. Questo approccio si scontra con l'agenda turca, che punta a consolidare una propria sfera di influenza nel nord della Siria attraverso HTS. La convergenza di queste due strategie, apparentemente incompatibili, rischia di trasformare il teatro siriano in un nuovo campo di confronto diretto tra due potenze regionali, aggravando ulteriormente una situazione già estremamente instabile.

Tredici anni dopo l’inizio della guerra per procura in Siria, orchestrata dalla CIA e finanziata da potenze come Arabia Saudita, Qatar, Turchia e Israele per destabilizzare il regime di Assad e isolare l’Iran, la narrativa occidentale sulla “guerra al terrorismo” si è dunque rovesciata in modo clamoroso. I governi occidentali, che un tempo dichiaravano guerra aperta a qualsiasi organizzazione legata ad al-Qaeda, ora sostengono apertamente gruppi come HTS, in nome della salvaguardia dei loro interessi strategici in Medio Oriente. L’obiettivo principale non è mai stato la lotta al terrorismo, ma il ridimensionamento dell’asse della resistenza, capeggiato da Iran, Siria e Hezbollah, e limitare l’influenza di potenze rivali come Russia e Cina.

La Siria, uno dei paesi un tempo più prosperi e avanzati del Medio Oriente, è stata distrutta e depredata in questo processo. Il controllo delle risorse naturali, delle rotte energetiche e dei nodi geopolitici ha guidato l’azione occidentale, con conseguenze devastanti per la popolazione siriana. L’imperialismo ha utilizzato forze reazionarie e islamiste per indebolire qualsiasi progetto di sviluppo autonomo e progressista nella regione, dimostrando ancora una volta come l’ideologia della "guerra al terrore" sia stata solo un pretesto per perpetrare saccheggio e controllo geopolitico. La normalizzazione di HTS è solo l’ultima manifestazione di questa strategia, un paradigma che riflette, come sempre, cinismo e freddo calcolo geopolitico senza alcun riguardo per la sorte di milioni di persone.

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