Presieduta da Emmanuel Macron, una coalizione di oltre 50 Paesi si è riunita a Parigi l'11 gennaio scorso per il vertice OnePlanet, impegnandosi formalmente a proteggere il 30% del pianeta entro il 2030, sostenere la biodiversità, fermare la distruzione degli habitat, rallentare l'estinzione della fauna selvatica. In pratica, preservare la buona salute degli ecosistemi terrestri, minacciati da produzione agricola, estrazione mineraria e inquinamento.

E’ il caso di sottolineare quel formalmente in quanto gli impegni fin qui profusi nei vari summit non hanno scalfito, almeno non sufficientemente, il record di una sesta estinzione di massa e la spirale di una crisi climatica ormai fuori controllo. E dunque, buone intenzioni presuppongono azioni condivise, altrimenti il binomio non regge.

 

Una trentina di personalità - fra i capi di stato e di governo anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte - sono intervenuti per lo più in videoconferenza, visti i limiti imposti dalla crisi sanitaria. Fra gli altri, il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, il presidente della Banca mondiale David Malpass, il principe Carlo d'Inghilterra, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, i primi ministri, Boris Johnson per il Regno Unito e Justin Trudeau per il Canada, il presidente del Costa Rica, Carlos Alvarado, la presidente della BCE, Christine Lagarde e il patron dell'OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus.

Cos'è successo di nuovo, a Parigi? Premesso che nell'ambito delle Nazioni Unite, nello specifico, la High Ambition Coalition (HAC, formata da circa 35 Paesi tuttora impegnati a proporre soluzioni progressive nella lotta al cambiamento climatico), aveva già firmato un precedente accordo proprio sulla difesa di questo benedetto 30% suddiviso tra suolo e oceani. La pandemia Covid-19 ha creato uno sconvolgimento senza precedenti agli assetti mondiali, ma la HAC invita a ripristinare un'economia con politiche di sviluppo attente al fattore clima.

Occasione irripetibile per mettere finalmente in campo azioni ambiziose, catalizzando gli sforzi nella giusta direzione.

L'impegno sottoscritto sarà probabilmente l'obiettivo principale del negoziato di Cop15 che si terrà a Kunming in Cina (quindicesima Conferenza sulla biodiversità), entro la fine del 2021, per quello che è stato definito "L'accordo di Parigi per la natura", un agreement per la sopravvivenza, nostra e del pianeta su cui viviamo, con direttive per salvaguardare ambiente e persone dopo l'esperienza tragica di Wuhan. Si chiederà senza deroghe, l'abolizione definitiva in ogni parte del mondo dei famigerati vet market, i mercati di fauna selvatica come a Wuhan dove, verosimilmente, ha avuto origine il ceppo di SarsCov2.

Ricordiamoci cosa siano i vet market, ossia quei “mercati umidi”, un nome che sottintende sangue, viscere, squame riversati sui pavimenti delle bancarelle dove si sopprimono animali destinati al consumo umano. Un vero inferno per queste creature strappate dal proprio habitat che vivono le ultime ore nel terrore, assistendo alle brutali uccisioni dei loro simili per soddisfare clienti con la loro carne appena macellata. Per quanto riguarda la Cina, ha sì emanato un divieto ai mercati di fauna selvatica, ma senza renderlo permanente. A questo proposito, è stata Elizabeth Maruma Mrema, responsabile ad interim per la convenzione delle Nazioni Unite sulla biodiversità, a sollecitare l'intervento quanto mai imprescindibile per chiudere una questione inaccettabile anche sul piano etico.

“Il messaggio che stiamo ricevendo, ha detto Elizabeth Maruma Mrema, “é che se non ci prendiamo cura della natura, essa si prenderà cura di noi”, riferendosi ai casi di Ebola in Africa centro-occidentale e ad un nuovo virus, Nipah, comparso in Asia Orientale. Sono chiare le connessioni tra distruzione degli habitat naturali, virus zoonotici e il salto di specie (o spillover), con cui attaccano gli esseri umani.

Al vertice OnePlanet, dove si è anche pensato a investimenti miliardari per la realizzazione della Grande Muraglia Verde in Africa, i leaders hanno avanzato proposte coraggiose inerenti a quattro punti cruciali: protezione degli ecosistemi terrestri e marini, promozione dell'agro-ecologia, mobilitazione dei finanziamenti, legame fra deforestazione, protezione delle specie e salute umana. “L'impegno si deve mantenere”, ha precisato Elizabeth Maruma Mrema, “con sforzi concertati e un agire collettivo”.

Tuttavia, nonostante il sostegno a un obiettivo comune - proteggere il 30% degli ecosistemi terrestri, frenando il declino dell'ambiente naturale e preservando la nostra salute - molti attivisti indigeni hanno sollevato un problema non di poco conto. L'aumento delle aree protette comporterebbe accaparramenti di terre e violazioni dei diritti umani. Il timore riguarderebbe i Paesi in via di sviluppo, desiderosi d'investimenti e finanza in merito all'accordo di Kunming e non solo volti alla conservazione. Il programma include l'uso sostenibile delle risorse naturali e la condivisione dei benefici di tali risorse, mettendo in primo piano l'aspetto della conservazione; ma, secondo gli attivisti, non si possono ignorare le scelte difficili dell'agricoltura e della sussistenza nelle zone povere del mondo. Un equilibrio complesso ma che può essere raggiunto individuando e finanziando seri progetti di colture sostenibili.

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