“In questi anni penso che il cambiamento principale sia stato che sono partito da vittima e sono diventato protagonista”. Anche se “nessuno sa di questo impegno, di questi immigrati impegnati nel volontariato: è una fetta che viene nascosta”. Sono due delle tante testimonianze raccolte nella ricerca "Immigrati e volontariato in Italia", condotta da CSVnet e Centro Studi Medi, in centosessantatre città italiane a migranti provenienti da ottanta paesi diversi, principalmente dalla Romania, dal Marocco, dal Senegal, dall’Albania e Perù e per il 4 per cento nati in Italia con un’età media di trentasette anni, pienamente inseriti nella società ospitante, con un titolo di studio medio-alto, fra i quali il 42 per cento ha cittadinanza italiana e sei su dieci lavorano.

 

Il 53 per cento di loro offre servizio di volontariato in modo continuativo, almeno da sei anni, il 28 per cento fa volontariato saltuariamente e a prestarlo sono soprattutto casalinghe, e il 17 per cento ha vissuto l’esperienza ma ha abbandonato per varie ragioni, prima tra tutte l’impegno occupazionale. La maggior parte degli immigrati volontari è impegnata in attività culturali come organizzazione di mostre ed eventi per promuovere il patrimonio culturale, in attività educative con ragazzi e bambini, in attività di socializzazione e di assistenza sociale; i restanti, nella cooperazione internazionale, nei servizi sanitari, nella protezione civile, nell’ambiente e nello sviluppo della coesione sociale.

E se il 30 per cento non percepisce nessuna criticità nell’approccio al mondo del volontariato italiano anzi ne trae beneficio in termini di realizzazione personale, di rapporti sociali e di integrazione, il 17 per cento lamenta scarsa conoscenza delle possibilità di fare volontariato: il passaparola rimane il modo più frequente di venire a conoscenza delle associazioni con cui impegnarsi.

Lo studio, unico nel suo genere su scala nazionale e presentato durante gli Stati generali del volontariato a Trento, per la prima volta ribalta il punto di vista delle analisi esistenti in Italia sul tema, focalizzando l’attenzione non sulle forme di intervento a favore delle persone di origine straniera ma nel loro impegno in prima persona come cittadini solidali, che “credono nella causa” per la quale offrono la loro opera di volontariato.

“Secondo me, la mia origine mi ha dato la forza perché una volta si pensava che fossero solo le persone europee a dover aiutare quelle dell’Asia o dell’Africa o delle altri parti del mondo, invece io, proprio io del Burkina Faso, mi sento tanto orgoglioso di poter fare qualcosa per aiutare gli altri”.

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