di Paola Carello

Il clima è un complesso insieme di correlazioni tra terra, oceani e atmosfera che, a prima vista, possono sembrare del tutto casuali ma, in realtà, presentano una regolarità: le variazioni stagionali ne sono il più classico esempio, ma anche l’avvicendarsi delle ere glaciali ed interglaciali testimoniano un certo grado di prevedibilità del clima. Il motore di tutte le trasformazioni e di tutti gli eventi è l’energia proveniente dal Sole. A tutt’oggi è in fase di studio presso il NOAA (National Oceanic & Atmospheric Administration) un modello che sia in grado di riprodurre ciò che accade grazie all’interazione terra-oceani-atmosfera per, in futuro, riuscire a prevedere gli eventi climatici, sulla base delle rilevazioni satellitari e delle boe meteoclimatiche disseminate negli oceani del pianeta. Da quando questo imponente progetto è iniziato ci sono state scoperte fondamentali per la profonda comprensione delle interazioni terra-oceani-atmosfera, come, per esempio, il fondamentale ruolo giocato dalla salinità dei mari. Quando un evento climatico esula dalla variabilità insita nel sistema Terra, allora si parla di anomalie climatiche. Tale argomento è diventato di grande attualità negli ultimi anni, principalmente a causa delle alluvioni in centro Europa del 2002, della notevole serie di uragani che si sono verificati negli Stati Uniti nel 2005 e, in Italia, a causa delle ormai note “Ondate di calore” dell’estate 2003 e dell’inverno 2006.
È bene però non confondere il concetto di anomalia climatica con quello di cambiamento climatico: l’anomalia è un evento temporaneo che si verifica per motivazioni ancora ignote (alcuni additano El Nino - corrente calda che si genera a causa di un aumento di temperatura presso le coste dell’America Meridionale e che si ripercuote fino in Oceania con conseguenza pesanti, come la cessazione dei venti detti alisei e i periodi di forte siccità e incendi in Australia - come colpevole) il cambiamento climatico, invece, è una deformazione permanente della periodicità naturale principalmente imputabile all’aumento dell’effetto serra.

Purtroppo abbiamo a disposizione serie di dati ad alto contenuto tecnologico troppo brevi (le prime rilevazioni satellitari sono del 1960) per avere una risposta esaustiva ai fenomeni atmosferici di cui siamo testimoni. È quindi fondamentale ricorrere alla paleoclimatologia, ovvero lo studio del clima nelle ere passate, anche le più remote. Il metodo più conosciuto per scoprire il clima nel passato è l’analisi chimica delle bolle gassose presenti nei ghiacci perenni della Groenlandia e dell’Antartide.
In pratica una carota di ghiaccio è una linea del tempo a ritroso che ci permette di capire la composizione dell’atmosfera in un determinato periodo grazie alla conoscenza di alcune reazioni di feed back positivo o negativo. Per feed back negativo si pensi al termostato di casa nostra: quando la temperatura nell’abitazione giunge al limite da noi imposto, il termostato spegne i caloriferi; quando la temperatura scende al di sotto di una certa soglia da noi programmata, i caloriferi vengono riaccesi per mantenere la temperatura ideale nella casa. Il feed back positivo, al contrario, esaspera il fenomeno. In questo modo è possibile ricavare la temperatura e la concentrazione di alcuni inquinanti come, per esempio, l’anidride carbonica.

Da questi dati è possibile ricavare l’andamento della temperatura e individuare le ere glaciali e l’andamento della CO2 nel corso dei millenni. Proprio dall’osservazione dell’andamento della concentrazione di anidride carbonica, alcuni studiosi sostengono la teoria che la pressione antropogenica sull’ambiente non debba essere considerata come causa principale: in poche parole poiché si riscontrano concentrazioni di CO2 simili a quelle odierne anche in periodi preistorici, la colpa dell’innalzamento della temperatura non è da attribuire all’uomo. Questo in parte può essere vero, ma altri scienziati fanno notare che, dall’inizio dell’era industriale ad oggi, il trend di crescita dei tale concentrazione è decisamente al di fuori delle oscillazioni naturali e, soprattutto, non accenna a invertire la rotta.

In sintesi possiamo dire che effettivamente la Terra ha già vissuto periodi caratterizzati da alte concentrazioni di gas ad effetto serra anche in assenza dell’uomo e delle attività antropogeniche (le cause sono di tipo naturale, basti pensare alle eruzioni di vulcani come quello di Santorini o il Krakatoa, poiché la nube di polveri e gas oscura il Sole per lungo tempo) ma è anche vero che, negli ultimi due secoli, la popolazione mondiale è cambiata enormemente in numero, esigenze, aspettativa di vita, abitudini di consumo. Questo ha sicuramente influito sul sistema Terra che, come tutti gli ecosistemi, ha una capacità di reazione alle forzanti antropiche - cioè un’elasticità che gli permette di mantenere intatta la sua funzionalità anche se sottoposto a cambiamenti importanti - finita. Molti studiosi stanno cercando di calcolare quale sia la capacità del nostro Pianeta di contrastare gli “attacchi” del genere umano mentre, secondo alcuni - come il professor James Lovelock, ideatore della Teoria di Gaia - abbiamo già superato questo limite.
La domanda che sorge spontanea è quindi: che fare?

Premesso che qualsiasi decisione, anche quella di non fare nulla, porta con sé delle conseguenze, le possibilità in nostro possesso sono sostanzialmente due: adattarci ai cambiamenti climatici o porvi rimedio. In entrambi i casi lo sforzo non sarà da poco e coinvolgerà tutta la popolazione mondiale. Modificare la produzione agricola, l’allevamento, il nostro modo di muoverci, il nostro modo di produrre, il nostro modo di costruire e gestire le case in cui viviamo, il nostro modo di consumare, il nostro modo di riprodurci - alcuni sostengono che sia indispensabile una politica mondiale per il contenimento demografico - sono azioni che dovranno essere prese in considerazione, sia che ci si voglia adattare o che si voglia porre rimedio ai mutamenti climatici che ci attendono.

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