Da novembre ad aprile, a Gioia Tauro, si raccolgono gli agrumi. E da novembre ad aprile, ogni anno nella Piana, si riversano, in condizioni di estremo disagio, i braccianti stranieri. Dei quali, in questa stagione agrumicola, sette su dieci hanno lavorato senza un contratto di lavoro o con uno fittizio che non ne garantisce i diritti (nemmeno fittiziamente), in condizioni abitative e di inclusione sociale indegne, precarie e degradanti. Ciononostante è sulle loro spalle che si regge gran parte del comparto agricolo della Piana.

 

“La presenza dei migranti - dichiara il sindaco di San Ferdinando, Andrea Tripodi, in una nota stampa riportata nel dossier I dannati della terra, redatto da Medu - non scende fatalisticamente dal cielo ma è funzionale alla sopravvivenza di un’agricoltura perennemente in crisi, aggredita dalla predazione mafiosa e caratterizzata dalla polverizzazione della proprietà”.

 

Pur rappresentando il carburante per l’economia locale, dunque, le condizioni lavorative sono di grave sfruttamento, divenuto una normalità. Le pratiche illecite sono rimaste invariate negli anni: mancata applicazione del contratto, lavoro a cottimo, salario inferiore a quanto previsto dal contratto nazionale del lavoro, paghe non corrisposte, contributi non versati, lunghi orari di lavoro e mancata corresponsione degli straordinari.

 

Diritti sospesi, difficilmente esigibili dai braccianti stranieri - che diventano facilmente ricattabili - per il loro precario status giuridico, che aumenta l’accettazione pressoché incondizionata di condizioni di lavoro inique e fondate sulla necessità e il bisogno. Incertezza e vulnerabilità che obnubilano la netta distinzione tra pretese e diritti. Come quello – inalienabile - alla salute, spesso non goduto per la scarsa comprensione del sistema sanitario italiano: solo una minoranza dei pazienti vistati da Medu conosceva l’utilità della tessera sanitaria, l’esistenza di un medico di base e la possibilità di ottenere un’esenzione per reddito o per patologia.

 

Sono tutti giovani i raccoglitori di agrumi; per lo più africani e in Italia da poco meno di tre anni, con una conoscenza della lingua italiana insufficiente per non aver intrapreso alcun corso di italiano, nonostante, in alcuni casi, abbiano completato il percorso nei centri di accoglienza.

 

Sintomo evidente di un’inadeguata (se non inesistente) integrazione, causa carenza di politiche in tal senso. E anche nel senso di una “pianificazione di medio-lungo termine dell’accoglienza per i lavoratori migranti stagionali, anche per quelli che - in numero sempre maggiore - passano qui gran parte dell’anno”, si legge nel Rapporto sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro. L’unico sforzo in questa direzione è stato l’allestimento dell’ennesima tendopoli ufficiale, salutata dalle istituzioni come “un argine al degrado che ha concretamente avviato un processo nuovo di accoglienza e inclusione”.

 

Una soluzione che non solo non è risolutiva - perché non risponde né numericamente né per i servizi predisposti, alle necessità delle migliaia di lavoratori stagionali - ma persino molto costosa: per un anno di gestione, il costo supererebbe di molto il milione di euro. Per quelle tende bianche e blu nelle quali i braccianti stranieri continueranno a sognare un tetto che si possa definire tale.

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