Nonostante il tentativo italiano di razionalizzare il sistema di accoglienza dei migranti, ancora lontano da una gestione con standard uniformi sull’intero territorio, la rete SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti asilo e Rifugiati), nel 2017, è riuscita a coprire solo il 15 per cento dei circa duecento posti disponibili. E il passaggio dalla prima accoglienza (quella dei Centri di Accoglienza Straordinaria-CAS) alla seconda - dello SPAR, appunto - è avvenuta con forte ritardo e per un numero ancora troppo esiguo di persone.

 

 

Le altre, sempre più in crescita, restano escluse dal sistema di accoglienza istituzionale, lasciandole prive di punti di riferimento e ignorate dalle istituzioni. A Roma, per esempio, si tratta, in molti casi, di richiedenti asilo che hanno abbandonato i CAS delle varie regioni italiane dove erano stati inizialmente accolti e che per questo, avendo ricevuto la revoca delle misure di accoglienza, sono stati tagliati fuori da ogni forma di accompagnamento e di supporto, materiale e legale.

 

Secondo i dati riportati nella diciassettesima edizione del Rapporto annuale del Centro Astalli, nei centri di accoglienza, nel 2017, le persone in condizioni di vulnerabilità rappresentano il 40 per cento. La casa e il lavoro continuano a essere punti di partenza indispensabili per ricostruire la quotidianità in un nuovo Paese e, però, spesso mancano: nel 2017 è aumentato il numero di quelli che si sono rivolti al Centro Astalli.

 

“Mi chiamo Aziz, ho 20 anni, vengo dalla Guinea e oggi sono rifugiato in Italia. Sono arrivato a Pozzallo a 17 anni. Mi sono messo in viaggio quando ne avevo 16. Nel mio paese non potevo più rimanere, la mia famiglia era perseguitata per motivi politici. Dalla Guinea sono arrivato in Mali, in Niger, in Libia e poi, finalmente, in Sicilia. Ho viaggiato come altre migliaia di migranti, affidandomi ai trafficanti. Mia madre ha seguito dalla Guinea tutto il mio percorso. Parlava per telefono con chi organizzava i viaggi per ogni tappa fino all’Italia. Abbiamo speso moltissimi soldi. Non mi ha mai lasciato solo. Mi seguiva a distanza. In Libia, mia madre aveva pagato per farmi salire su una nave, ma quando siamo arrivati sulla spiaggia c’era solo un piccolo gommone. Io non volevo partire, avevo paura di annegare. I trafficanti mi hanno costretto con la forza a salire, non ho avuto scelta. Eravamo 80 su quella piccola barchetta. Tre giorni di navigazione prima di incontrare una nave che ci ha soccorso e salvato. Arrivato in Italia, ho capito che ce l’avevo fatta. Ora vivo a Roma, non è facile essere da solo in un paese straniero. Lavoro come pasticcere. Mi piace e sono bravo. Ho degli amici italiani e al Centro Astalli mi sento sempre a casa. Sento molto la nostalgia di chi è rimasto in Guinea. Mia madre mi chiama sempre per sapere se rigo dritto. Lei continua a esserci sempre”, racconta, nelle pagine del Rapporto 2018, Aziz.

 

Che, come tanti rifugiati, è entrato nei locali di via degli Astalli a Roma per chiedere un primo aiuto (duecentotrenta persone al giorno per un pasto), per ricevere informazioni su come presentare domanda d’asilo o ottenere un posto in un centro di accoglienza. Nel 2017, il 95 per cento di loro sono uomini di cinquantasette nazionalità, con una netta prevalenza di cittadini del Mali, e centosettant’otto sono le provenienze delle persone che si sono rivolte per un primo ascolto, fra le quali il 16 per cento donne molto giovani e originarie della Nigeria.

 

L’Afghanistan è la provenienza più consistente degli utenti che si sono rivolti all’ambulatorio del Centro che, nel 2017, ha registrato un aumento dei pazienti – duemila e settecento nel corso dell’anno – la maggior parte dei quali è presente in Italia da tanto tempo, vivendo in una condizione di grave marginalità e il cui malessere fisico è quasi sempre l’esito di percorsi migratori traumatizzanti e fallimentari.

 

Sono soprattutto donne, gli utenti che si sono rivolti allo sportello di assistenza legale e sono più di un quarto del totale degli iscritti, le donne che hanno frequentato la scuola di italiano. Alla ricerca di una piena integrazione, ostacolata, invece, da procedure burocratico-amministrative farraginose e da un clima generale sempre più impaurito che genera nei migranti un senso continuo di precarietà.

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