di Sara Nicoli

L'eutanasia ha fatto il suo ingresso in una campagna elettorale che, fino ad ora, si era caratterizzata solo per lo squallore dilagante.
E' impopolare parlare di eutanasia? Certo, ma è essenziale parlarne. Perchè è un dibattito che ne supera tanti altri, considerati in questo momento di maggiore urgenza solo perchè la politica ne ha fatto una bandiera da far sventolare nell'imminenza del voto e che, invece, investe molto più di altri il dibattito etico intorno alla vita e alla sua dignità.
L'eutanasia, dunque, una vecchia battaglia radicale che si ripresenta oggi sotto l'egida della "Rosa nel pugno", che ha presentato una proposta che suona come un elettrochoc delle coscienze: estendere la possibilità della "bella morte" anche ai minori, a quei bambini o adolescenti che, per colpa di malattie incurabili o per destino avverso, si trovano in coma vegetativo da anni. Con i genitori che spesso implorano la fine dell'inutile agonia, ma che la legge di uno Stato laico inchioda comunque al rispetto del dettato divino, unico padrone nel dare e nel togliere la vita. Fino ad oggi l'eutanasia è stata associata a persone comunque adulte: malati terminali con una vita vissuta alla spalle, anche se breve, ma condannate a morte certa dall'impotenza della medicina e dall'altrettanto evidente scarsità e di miracoli. Persone cui una mano anonima, misericordiosa, ha spesso, in solitudine, aiutato a morire serenamente sollevandoli dall'atroce percorso degli ultimi attimi, quando la paura aumenta lo strazio e il dolore e non ci sono più speranze.
Siringhe amiche, camici bianchi compassionevoli e consapevoli di commettere, di fatto, un omicidio; ma forse più sensibili all'aiuto di un malato in condizioni disperate che al pensiero di essere scoperti e condannati.
Uno scenario, questo, che anche se biasimato pubblicamente si è infiltrato lento nelle coscienze di tutti; raro sentir dire a chi ha vissuto accanto a un malato terminale che non avrebbe fatto qualcosa per lui, se solo ne avesse avuto il coraggio.

Ma che dire quando, invece, si parla della scelta di staccare la spina ad un ragazzino che è stato vittima di un incidente in motorino e la cui morte celebrale scongiura ogni possibilità di recupero? O di un bambino, nato con una grave malformazione, che solo una macchina può tenere in vita?
In Olanda, in Belgio, in alcuni stati americani, l'eutanasia è stata già ampiamente codificata, a fronte di un testamento biologico che certifichi, oltre ogni ragionevole dubbio, la scelta di una persona adulta di morire con dignità, anche con un aiuto, laddove le condizioni risultassero disperate. Adulti, appunto. Dire a una madre e ad un padre attoniti dal dolore che possono rinunciare al sostegno dei trattamenti artificiali perchè il loro bambino comunque morirà, apre però un altro fronte del problema che forse nessuna legge potrà mai risolvere, pur recependone la possibilità: in questo caso non si sceglie per se stessi, si sceglie per un altro. Tuo figlio.

E' per questo che la proposta della "Rosa nel pugno" è apparsa a molti come una provocazione politica di stampo elettorale.
Ma se forse sarebbe giusto parlarne, discutere, disegnare i confini del possibile intervento medico intorno alla scelta finale di una persona, evitando di trascendere su terreni che nessun Parlamento al mondo si sentirebbe in grado di dirimere. In fondo, è crudele dire a un genitore che può staccare la spina al figlio in coma: non lo farà mai, salvo casi eccezionali che però si sono verificati, il più delle volte perchè l'accanimento terapeutico ha superato il limite del tentativo di guarigione. E' impopolare parlare di tutto questo, certo. Ma, senza provocazioni, sarebbe almeno auspicabile parlarne. Prima che dagli altari qualcuno decida per noi.

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