Su 3570 casette richieste ne sono state consegnate 995. Su 108 scuole da ricostruire, una è stata realizzata e un’altra è ancora in cantiere. E le restanti? A un anno dal sisma (e al secondo inverno), la ricostruzione nel Centro Italia è ancora in alto mare. A giustificare il ritardo generalizzato ci sono, certamente, cause oggettive come il susseguirsi degli eventi sismici che ha allargato l’area del cratere e allungato i tempi per la verifica dei danni sugli immobili, ma si riscontrano anche ostacoli di matrice umana.



Il lento andamento dei lavori dipende, infatti, sia dai tempi con i quali i Comuni hanno individuato le aree da urbanizzare sia da quelli con cui le Regioni hanno verificato l’idoneità idro-geo-morfologica, che è il primo paletto a ostacolare la tabella di marcia degli interventi per la presenza, spesso, di vincoli nel territorio dell’Appennino.

A rendere pressoché nulli i risultati dell’intenso impegno posto dalla Struttura del Commissario straordinario per la ricostruzione delle scuole distrutte o danneggiate, e in considerazione degli ingenti stanziamenti disposti, ha contribuito, pure, il meccanismo farraginoso delle gare d’appalto per l’affidamento dei lavori: una serie di normative, ordinanze e avvisi, frammentati e troppo diluiti nel tempo, hanno impedito di stilare una lista sufficiente di imprese aggiudicatrici. Criteri troppo stringenti o imprese incapaci di rispettare i tempi e inadeguate a garantire una qualità idonea?

Certo, velocizzare l’uscita dall’emergenza è la priorità ma ciò non può andare a detrimento della qualità del costruire e far abbassare la guardia sul rispetto della legalità e dei controlli, che sembrano sfuggire nei cantieri in cui sono impiegati i lavoratori addetti all’allestimento delle aree per le Soluzioni abitative d’emergenza (casette, ndr) e al montaggio delle stesse. Troppe imprese stanno ricorrendo al lavoro nero e grigio, mettendo a repentaglio la sicurezza di chi lavora: operai completamente sconosciuti alle Casse edili o denunciati con un monte ore di lavoro di molto inferiore a quello effettivamente svolto forniscono manodopera in cantieri ben finanziati dai fondi pubblici.

In occasione della presentazione del report dell’Osservatorio per la ricostruzione di qualità, promosso da Fillea-Cgil e Legambiente, il segretario generale della Fillea-Cgil, Alessandro Genovesi, ha usato parole forti. “Molto è stato fatto ma molto, moltissimo ancora è da fare. La ricostruzione non è partita e la fase dell’emergenza si prolunga in modo, a volte, ingiustificato. La ricostruzione delle scuole è, in pratica, ferma e questo chiama in causa tutti, Commissario, Regioni, Enti locali, stazioni appaltanti. Il sindacato degli edili, attraverso accordi e protocolli, ha messo a disposizione del Commissario e dei vicecommissari, la disponibilità a ragionare sull’orario di lavoro i propri enti bilaterali, le casse edili, le scuole di formazione e sicurezza”.

Prosegue Genovesi: “Altrettanta disponibilità ci aspettiamo dalle istituzioni regionali nel coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori nella gestione, in sicurezza e trasparenza, della fase dell’emergenza senza alimentare l’idea che le regole e la trasparenza siano il problema e non che il problema, invece, siano la mancanza di strumenti preventivi e di personale sufficiente per numero e qualificato nella Pubblica Amministrazione. La ricostruzione non sia il terreno per la campagna elettorale ma banco di prova per la parte migliore delle classi dirigenti”.

Non ci va leggera nemmeno la presidente di Legambiente, Rossella Muroni: “I numeri evidenziati dal lavoro dell’Osservatorio sono insoddisfacenti. Senza case e scuole non si ricostruiscono le comunità né ripartono le attività economiche. Per chi è lontano diventa sempre più difficile scegliere di tornare, chi, nonostante tutto, ha deciso di rimanere è costretto ad affrontare troppi disagi e a convivere con un continuo senso di precarietà".

E dunque? "Bisogna avere la consapevolezza - prosegue la Muroni - che se si accelera lo spopolamento delle aree interne, invece che contrastarlo, si avrà un danno per tutto il Paese, perché l’Appennino è un grande sistema e patrimonio ambientale di valore europeo e internazionale. Pur nella drammaticità del caso, considerata l’ingente quantità di risorse che sarà riversata in quelle aree, la ricostruzione può e deve essere un’occasione per un nuovo sviluppo di queste aree”.

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