Contro le disuguaglianze, gli sprechi alimentari, per il recupero delle eccedenze per gli indigenti e del diritto al cibo per tutti non si può prescindere da un’agricoltura sostenibile che valorizzi i piccoli produttori. Sono loro, infatti, che occupando un ruolo determinante nell’economia rurale, contribuiscono alla sicurezza alimentare. La quale traballa, fino a generare la fame nel mondo, quando sorgono squilibri nella distribuzione e nelle dinamiche della filiera agroalimentare.



Si, perché i piccoli produttori, il più delle volte, sono esclusi dai processi decisionali sulle politiche alimentari, nazionali e globali, controllate dalle grandi imprese che esercitano il potere sul sistema alimentare generale.

Questa iniqua ripartizione del potere riflette la irregolare distribuzione della nutrizione: a subire disagio, da un lato ci sono i piccoli produttori scarsamente remunerati, dall’altro le persone estromesse dai mercati alimentari globalizzati.

Una clessidra che può tornare in equilibrio, secondo quanto si legge nel report “Le disuguaglianze della fame. Indice globale della fame 2017”, solo garantendo ai piccoli produttori, e in particolar modo alle donne, una presenza più determinante a partire dall’offerta di una più larga ammissione alle risorse pubbliche, educative, informative e finanziarie.

Circa l’80 per cento del cibo nel mondo, stando a quanto scritto nel dossier “Finanziare le donne in campo”, redatto da Oxfam, è prodotto da aziende a conduzione famigliare –che in Italia, sono il 97,5 per cento delle aziende agricole - e le donne rappresentano il 43 per cento della forza lavoro. Ma le barriere che ostacolano il loro accesso agli input di produzione, ai mercati, all’assistenza tecnica e al credito riducono la loro produttività del 30 per cento circa rispetto agli uomini.

Diventando vittime di una duplice discriminazione: come agricoltrici di piccola scala e come donne che, a causa di norme penalizzanti non solo nell’accesso al cibo ma anche all’istruzione, alla salute e, in generale, ai servizi, sono più esposte alla malnutrizione, rappresentando il 60 per cento degli affamati nel mondo.

E, invece, restituire loro l’autorità che meritano e ridurre il gap di genere, permetterebbe di incrementare la produzione agricola, ridurre la fame nel mondo del 17 per cento e creare comunità più resilienti ai cambiamenti climatici che hanno un aumento diretto sulla fame globale - la quale nel 2016 ha colpito trentotto milioni di esseri umani in più, per la prima volta dopo dieci anni – perché, distruggendo terre e raccolti, incidono sull’incremento dei prezzi del cibo.

Ma gli aiuti dei grandi donatori internazionali, quelli del G7, sono ancora insufficienti a consentire ai piccoli agricoltori di adattarsi e resistere al clima che cambia, in un sistema che continua a penalizzare chi è già ai margini. Ma con l’auspicio che gli accordi di Parigi, che stabiliscono che gli stanziamenti dei paesi donatori per la lotta ai cambiamenti climatici dovrebbero raggiungere i cento miliardi entro il 2020, non rimangano solo sulla carta.

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