di Tania Careddu

“La nuova struttura è temporanea, ma ben organizzata. E’ un notevole passo avanti rispetto alle tensostrutture. Non sappiamo però quanto resteremo qui, perché ancora non sappiamo quali scuole potranno essere recuperate e quali invece no”, racconta ad Actionaid, una maestra delle scuole colpite dal sisma in Centro Italia, un anno fa. Per oltre trentamila studenti regna ancora l’incertezza: ritardi, poca trasparenza e pochi coinvolgimenti delle comunità locali.

“Col sindaco abbiamo contatti frequenti ma per il resto non abbiamo avuto informazioni dal ministero o da altre istituzioni e non sappiamo quanto staremo nei container”, continua. Quello che si sa è che la gestione della ricostruzione appare piuttosto accentrata: le decisioni sono in mano al Commissario straordinario per la ricostruzione e ai governatori delle regioni colpite – Abruzzo, Lazio, Marche, Umbria – senza un reale coinvolgimento delle comunità locali.

Sarebbero necessari centonove interventi di edilizia scolastica per un totale di trecentoquarantadue milioni di euro e nelle ordinanze del Commissario, il governo ha previsto un totale di settantadue scuole di nuove costruzioni nelle quattro regioni colpite dalle scosse, più altri quaranta interventi edilizi di vario tipo, come adeguamento, completamento, miglioramento e ampliamento delle strutture.

Ma non è chiaro perché le risorse della terza campagna fondi post sisma – arrivate a quota tre milioni e rotti di euro con l’obiettivo di intervenire sui plessi scolastici – siano state destinate anche ad altre opere pubbliche. Di fatto, “una ricostruzione efficace non può che essere trasparente e partecipata”, dichiara il segretario generale di Actionaid, Marco De Ponte. Che conntinua: “A oggi non sappiamo ancora quante sono le risorse messe in campo grazie alle donazioni, ai fondi pubblici e a quelli privati. Per una vera rinascita, non solo materiale, sono indispensabili strumenti di trasparenza informativa e percorsi di partecipazione mirati alla costruzione di spazi di dialogo aperto, inclusivo e informato tra istituzioni e cittadini in merito alla ricostruzione e allo sviluppo del territorio”.

Che passa, soprattutto, per l’istruzione la quale permette alle famiglie di restare e così evitare lo spopolamento: prima del sisma, per esempio, la sede di Pieve Torrina – dove la situazione è molto precaria, la scuola è ancora in costruzione e l’inizio delle lezioni era previsto nelle tensostrutture dell’anno scorso – contava più di cento studenti, adesso tra elementari e medie saranno pressappoco settantacinque. Ciò a causa della carenza dei moduli abitativi emergenziali (SAE) che costringe le famiglie ad allontanarsi dai borghi.

Paradossalmente, a Visso l’edificio scolastico è agibile ma mancano le famiglie che non hanno ottenuto i SAE e perciò si è registrato un calo del 40 per cento degli iscritti. Però, dall’analisi della documentazione resa pubblica, secondo quanto si legge sulle pagine on line di Actionaid, non è possibile sapere con esattezza quanti studenti torneranno sui banchi in scuole provvisorie e quanti saranno collocati in nuovi edifici.

Pure nel cratere aquilano, dove, a distanza di otto anni dal terremoto, gli studenti riprenderanno le lezioni in strutture ‘temporanee’: non è ancora partito, infatti, nessun progetto di ricostruzione delle scuole pubbliche tanto che il maggior liceo della città, con oltre cento studenti, a oggi è ancora dichiarato inagibile.

La ricostruzione è lenta e poco chiara ma, forse, può essere l’occasione per “ricostruire, non solo gli edifici, ma le comunità”, è l’auspicio di tutti i docenti delle zone in questione.

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