di Tania Careddu

Garantisce il pieno godimento del diritto allo studio, del diritto alla salute e di quello alla non discriminazione. E strumento di integrazione, educazione alimentare e inclusione. Contrasta la dispersione scolastica e la povertà. E’ (dovrebbe essere) la mensa scolastica. Ma siccome ancora oggi è un servizio dei comuni a domanda individuale – e perciò erogato secondo la loro discrezionalità (legata al pareggio di bilancio delle scuole) - la sua presenza non è assicurata in modo uniforme sul territorio italiano.

Al sud, con picchi in Sicilia, Puglia, Molise, Campania e Calabria, c’è un’altissima percentuale di alunni tagliati fuori dalla mensa scolastica, sia in termini di offerta del servizio sia in quelli relativi a tariffe, agevolazioni, restrizioni ed esclusioni; e poi, anche quando disponibile, non sempre è erogato in appositi refettori che mancano nel 23 per cento delle scuole. Il mancato accesso alla mensa, superiore al 50 per cento degli alunni in ben otto regioni italiane, è direttamente proporzionale all’offerta del tempo pieno, presente solo nel 30 per cento delle classi italiane.

Variano da città a città, senza trascurare il criterio restrittivo all’accesso con esenzione basato sulla residenza, le tariffe, che vanno da un minimo di tre centesimi a Palermo a un massimo di sette euro a Ferrara. Varia anche la misura in cui le famiglie devono contribuire alla spesa: Bergamo, Forlì e Parma caricano il costo sulle famiglie del 100 per cento mentre Bari, Cagliari, Napoli e Perugia del 35 per cento.

La disomogeneità delle politiche comunali relative alle mense scolastiche pone il preoccupante problema dell’esclusione dal pasto degli alunni di genitori morosi: nove comuni sui quarantaquattro monitorati dalla ricerca “(Non) tutti a mensa 2017”, effettuata da Save the children, non permettono l’accesso ai bambini i cui genitori siano in ritardo con il pagamento delle rette, arrivando all’impossibilità di iscrizione all’anno scolastico successivo fino ad avvenuta risoluzione della morosità.

Nel frattempo, spuntano le “stanze del buco di bilancio”, soluzioni temporanee (altamente discriminanti) per quei bambini ai quali è stato concesso di portare il pranzo da casa purché consumato in locali separati dagli studenti in regola con i pagamenti, o la pratica dell’esclusione da altri servizi offerti dal comune, tipo lo scuolabus, i centri estivi o i giochi pre-scuola.

In ultimo, ma non per ordine di importanza, la mensa sostiene le pari opportunità: permette alle donne (mamme) di lavorare e di disporre dei servizi di welfare indispensabili per la cura dei figli, facilitando l’organizzazione famigliare. Oltre che la socialità, l’integrazione tra culture diverse e l’indipendenza, contribuendo, così, alla formazione dell’identità del bambino. Insomma, un pasto completo e sano.

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