di Liliana Adamo

Si chiama Adriatic Sea Effect Snow: in altre parole, un’irruzione artica nell’arco di un inverno eccessivamente “caldo”. E' la definizione più idonea per la fenomenologia meteo che, tra il 6 e l’8 gennaio scorsi, ha fatto registrare super nevicate con temperature in picchiata sulla costa adriatica del centro sud, fino a toccare regioni notoriamente “temperate” come Puglia e Sicilia.

Un evento estremo, per certi versi “anomalo”, ma che riproduce negli elementi base, il famoso “Lake Effect Snow” dei Grandi Laghi nel Nord America.

Aria gelida artica irrompe sui vasti bacini lacuali, alzando in modo repentino aria più tiepida e umida presente in superficie, forgiando sì una genesi di nubi cumuliformi e consistenti che scarica rovesci nevosi sulle coste sopravvento e nell’immediato entroterra.

Quanto più rilevante è la difformità di temperature tra aria fredda in arrivo e superficie dell’acqua, maggiori saranno i contrasti, le “estremizzazioni” tra la genesi e le condizioni consequenziali, in pratica, si avranno precipitazioni nevose particolarmente intense.

Ciò che è avvenuto lungo le coste del nostro Mediterraneo (e nell’immediato retroterra, Abruzzo e Molise), è esattamente questo, pur valutando che per la cronica complessità che masse d’aria gelida continentale valichino le barriere piazzandosi sulle coste del sud Italia, il fenomeno resta comunque circoscritto nell’eccezione e non nella regola.

L’Adriatico, direttamente esposto ai rigidi Balcani, è stato il primo a risentire del Sea Effect Snow e i meteorologi non escludono che dal duplice effetto di calore in superficie e impatto d’aria fredda, possa scaturire ancora tanta neve.

Un Continente in antitesi

Cos’è accaduto tra il 6 e l’8 gennaio? Che Reykjavik, in Islanda, tra le capitali più fredde al mondo, registrasse temperature più alte rispetto a quelle di Napoli; che a Nuuk, in Groenlandia, facesse più caldo delle Murge; che la Lapponia superasse, per gradi termici, la nostra Calabria. Tutto monitorato, senz’alcun dubbio.

Scomodare sistemi e grafici non serve, per tale singolare circostanza, c’è una spiegazione: le retrogressioni d’aria gelida provenienti dall’Artico russo sono favorite da blocchi anticiclonici d’origine atlantica che sbarrano il naturale defluire dei venti da ovest verso est; in questo modo l’aria più calda subtropicale defluisce inizialmente verso le Isole Britanniche (Irlanda e Gran Bretagna sono state di gran lunga le nazioni più calde in tutta Europa), convogliando poi verso Islanda, Norvegia, Scandinavia e Artico.

Ed è così che mentre il sud Europa (Italia in testa), batte i denti facendo il conto per i danni da gelo (dall’agricoltura, alla viabilità, fino alla perdita di vite umane, come nel caso dei clochard morti di freddo in strada, nonostante le misure preventive adottate), nell’estremo nord europeo il clima diventa “insolitamente” mite e per alcuni giorni, abbiamo avuto, meteorologicamente, “un continente al rovescio”.

Effetto serra e glaciazione

I cattivi media continuano a propinare notizie affrettate su una possibile “nuova era glaciale”, prive però d’idee chiare e pertinenti. Fatto sta che esiste una correlazione da non minimizzare tra disordini climatici ed effetto serra.

Fenomeni “estremi” lasciano il segno a ogni loro passaggio, che siano bufere di neve, crolli termici, ondate di calore, siccità e desertificazione del suolo, piogge devastanti, uragani sempre più frequenti, vere e proprie “tempeste tropicali” come si sono verificate durante la stagione estiva sui nostri litorali. Questi, succedutisi a un ritmo impressionante negli anni, non possono essere considerati fattori “contingenti”.

I livelli delle maree registrano un continuo ingrossamento dal 1975, ma è dal 1950 che sono stati osservati gli effetti di un cambiamento climatico in atto, irreversibile. Che cosa comporta il global warming, cioè il riscaldamento della temperatura globale del pianeta?

Credete sia soltanto un po’ di caldo in più? Errore: osservate la discontinuità fenomenologica, peculiarità predominante che indica in progressione eventi massimi soprattutto in Europa e Nord America, dove aumenta vertiginosamente la frequenza di precipitazioni intense e incontrollabili.

Il termine “probabilistico” è ancora usato nel quinto rapporto sui cambiamenti climatici stilato per l’Intergovernmental Panel on Climate Change. Ma, segnale preoccupante, è che le mutazioni di clima assumano aspetti a tal punto bruschi, veloci e imprevedibili, da non permettere agli scienziati la sistematica selezione di dati storici, proporzionati all’esigenza di tracciare correttamente il trend con assoluta evidenza scientifica.

Non un concetto “probabilistico” tout court, quindi, ma un “atto dovuto” per severità intellettuale e provata “scientificità”; il global warming sembra sfuggire a ogni verifica preventiva, corre più spedito delle stesse cognizioni in merito.


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