di Tania Careddu

Ideologicamente di parte, dal sapore squisitamente cattolico, a colpi di pedagogia antidemocratica, ingannevole e sterile, quel pasticciaccio brutto della campagna per il fertility day, partorita dal ministero della Salute, non ha certamente centrato il problema (con l’ambizione, invece, di risolverlo) del pericolo della denatalità in Italia.

Nel 2015, sono nati diciassette mila bambini in meno rispetto all’anno precedente, confermando una tendenza alla diminuzione, ormai in atto da qualche tempo, riscontrabile in tutte le aree geografiche del Paese e, principalmente fra le coppie di genitori italiani, soprattutto fra quelle sposate. Mentre tra i genitori non uniti da contratto matrimoniale, i figli nascono di più, rappresentando il 28,7 per cento del totale delle nascite, superando il 31 per cento al Nord.

Sebbene sia in lieve diminuzione anche tra di loro, vuoi per una sorta di invecchiamento vuoi perché la dinamica migratoria si è attenuata e, seppur ancora positiva, è caratterizzata da donne lavoratrici, le cittadine straniere hanno parzialmente riempito i vuoti generati dalla popolazione femminile italiana. Più feconde al Nord che al Centro, nel 2015 è di cittadinanza straniera circa un nato su quattro in Emilia Romagna, un nato su cinque in Veneto, Liguria e Toscana. Fra di loro, ai primi posti per numero di figli le madri rumene, seguite da quelle marocchine, albanesi e cinesi.

Il calo della natalità è in parte dovuta ad alcuni effetti strutturali: meno donne in età feconda comportano inevitabilmente meno nascite. E scende a picco, anche, la fecondità: il numero medio di figli per donna scende a poco più di un bambino, con il Mezzogiorno a livelli bassissimi, eccezion fatta per la Sardegna che è, pure, la regione che detiene il primato italiano per posticipzione del calendario riproduttivo.

Rimandare la maternità in età sempre più avanzata - fenomeno in atto dalla metà degli anni settanta - è tipico delle mamme italiane: il 9,3 per cento ha più di quaranta anni, cioè per otto nati su cento, quota che supera quella delle madri under venticinque. Più presenti nel Mezzogiorno, le nascite da madri minorenni sono state oltre mille e settecento, in diminuzione.

Con il dispiegarsi degli effetti sociali della crisi economica si è innescata una nuova fase di diminuzione della fecondità, fortemente legata ai cambiamenti nella formazione delle famiglie e, in particolare, alla riduzione della nuzialità. E presenta una particolarità: la forte contrazione dei primi figli per donna dipende per quasi il 70 per cento del calo della fecondità del primo ordine, secondo i dati Istat leggibili nel report “Natalità e fecondità della popolazione residente”.

Sebbene la scelta del nome dei nascituri sia in parte legata alla cultura e alle tradizioni radicate nei singoli ambiti territoriali, si nota una forte concentrazione dei nomi a prescindere dalle singole realtà e, nel 2015, seppure santi e beati l’hanno sempre condizionata, la scelta è stata più che mai influenzata dalla religione. Primeggia, infatti, Francesco, verosimilmente in seguito all’elezione del Papa, in nove regioni italiane, tutte del Centro Sud; Alessandro è il secondo più usato. Per quanto riguarda quelli femminili, Sofia è il più frequente in metà delle regioni.

Seppure le preferenze dei nomi dei figli dei genitori stranieri si differenziano a seconda della cittadinanza - quello tradizionale della comunità d’appartenenza è preferito dalla comunità cinese, al contrario di quella marocchina - dove i loro bambini si chiamano Adam, Youssef, Rayan. Per le bambine il primato spetta a Sara, Sofia, Aurora e Malak. Buona vita.

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