di Tania Careddu

Troppo spesso connesse esclusivamente a fragili situazioni politiche e a conflitti endemici, le comunità di fede islamica immigrate nel nostro Paese, rivelano invece, mille volti. Il mondo islamico, caratterizzato da un’ampia varietà di diversificazioni linguistiche, etniche e culturali, dovute alla sua storia secolare, a parte la tradizionale separazione tra sciiti e sunniti, è composto da una serie di correnti mistiche, sette e gruppi minori.

Immaginato stereotipicamente come una fede, rappresenta invece anche un codice etico, una prassi sociale, culturale e politica, rifiutando quella visione mitologica corrispondente di frequente a quella imposta da frange fondamentaliste dell’islamismo radicale. Con il risultato di essere percepita come una religione intrinsecamente violenta. Senza sfumature. Totalitaria e totalizzante, a tutti i costi.

In Italia, premettendo che su circa sei milioni di presenze straniere i musulmani rappresentano meno di un terzo del totale, sfatando il pregiudizio secondo cui la maggior parte degli immigrati lo professa, l’Islam si presenta come un’evidente complessità sociologica e conta più differenze che similitudini.

Prima di tutto per la pluralità dei Paesi di provenienza, circa dieci: Marocco in testa, seguito da Albania, Bengala, Tunisia, Egitto, Pakistan e Senegal. Poi perché, se nei contesti di migrazione genericamente la religione funge da fattore aggregante, nel caso specifico è filtrata attraverso le diverse culture, rendendola un sistema fluido e plurale e tutt’altro che monolitico. Senza dimenticare l’apporto, in questo senso, delle seconde generazioni e il significativo aumento degli italiani convertiti.

Una varietà di storie e vissuti che tende a influenzare anche l’atteggiamento verso la società italiana incidendo, ovviamente, sulle modalità di integrazione nel Belpaese. Aspetto, anche questo, che caratterizza l’islam nella sua pluralità. Si spiega così il costituirsi di strutture associative generalmente connesse all’origine nazionale: tutelano il profilo identitario e, contemporaneamente, difendono la diffusione dell’Islam nel territorio adottivo, soprattutto nell’Italia settentrionale, Lombardia ed Emilia Romagna capolista, seguite dal Veneto e dal Piemonte.

E l’insediamento in Italia ha imposto, certamente, svariate trasformazioni tanto nella pratica religiosa quanto nell’appartenenza e nelle modalità di dirsi ed essere musulmani. Le cause? La mancanza di strutture e di possibilità effettive di esercitare la fede e il diverso modo di vivere la religiosità in un ambiente in cui l’islam è credo minoritario. Proiettando, i contesti circostanti, messaggi e immagini diverse da cui si è stati precedentemente socializzati.

Tutto ciò, rintracciabile nel papier “Il volto plurale dell’Islam: sunniti e sciiti tra Paesi d’origine e contesti di migrazione”, redatto dall’ISMU, sarebbe sufficiente per poter sostenere che chi rivendica la violenza perpetrata in nome della fede religiosa, nasconde, piuttosto, la propria malattia mentale dietro l’Islam. Non c’è Dio che tenga.

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