di Tania Careddu

Ostacoli materiali, organizzativi, gestionali e culturali. Sono le barriere sanitarie che penalizzano, nelle strutture ospedaliere italiane, le persone affette da disabilità intellettive, sensoriali e motorie. I dati, secondo la ricerca “Indagine conoscitiva sui percorsi ospedalieri delle persone con disabilità”, commissionata dall’associazione Spes contra spem, sono poco confortanti.

Solo in un terzo degli ospedali è previsto un flusso prioritario per i pazienti con disabilità. Solo il 16 per cento ha un punto di accoglienza destinato a loro; nessuna struttura ha mappe a rilievo per i non vedenti e solo il 10 per cento circa è dotato di percorsi tattili. I display luminosi sono presenti nel 57,8 per cento delle strutture, ma solo il 12,4 per cento di queste ha locali o percorsi adatti per visitare i pazienti con disabilità intellettiva nei pronto soccorso.

Soltanto il 21,7 per cento, poi, ha appositi spazi per l’assistenza delle persone con disabilità cognitiva, bisognose di una maggiore attenzione e tranquillità al fine di essere collaborative e non oppositive nel percorso di cura.

Uniche note positive: la grandissima maggioranza degli ospedali garantisce la permanenza del caregiver oltre l’orario previsto per le visite e l’apertura a incontri, sebbene saltuari e non strutturati, tra il vertice degli ospedali e le rappresentanze delle associazioni familiari dei disabili.

Barriere insormontabili negli ospedali del Mezzogiorno e che segnano l’ennesimo divario (nel diritto alla cura) tra Nord e Sud, dove gli ospedali, tranne iniziative isolate, ancora non prevedono alcun percorso di cura personalizzato. Una situazione, quella italiana, in linea con il contesto europeo, in cui, secondo una ricerca condotta qualche anno fa, i pazienti con disabilità ricoverati nelle strutture ospedaliere, sono deceduti non a causa di patologie ma per carenze o trattamenti clinici non appropriati. Morti evitabili con una migliore organizzazione e con un approccio medico adeguato a questo tipo di pazienti.

I quali, per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno il doppio delle possibilità di trovare operatori impreparati e strutture inadeguate, e per i quali è tre volte più alta la probabilità che venga negato l’accesso alle cure e quadruplicata quella che vengano trattati senza rispettare la loro dignità.

Non solo rappresentano un disagio concreto ma le barriere sanitarie generano, anche, una disparità di trattamento sanitario. Che, al di là delle scarse misure pratiche di cui (non) si dotano gli ospedali, è deficitario dell’umano rispetto del malato e carico di dimensioni di pregiudizio nell’accesso alle cure.

“Paradossalmente, in ospedale, una persona con disabilità rischia di diventare disabile due volte, perché per avere diritti uguali a tutti gli altri ha bisogno di risposte diverse”, afferma il presidente di Spes contra spem, Luigi Vittorio Berlini. Che continua: “Prendersi cura di una persona significa riconoscere che davanti ho una persona con la sua dignità. E’ solo diversa, non più complicata delle altre”.

Eppure “due strutture sanitarie su tre sono impreparate ad accogliere persone con disabilità”, ammette il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi. Aggiungendo che “è un dato, quello fornito da questo studio, che deve farci riflettere sull’importanza di insistere nella costruzione di un sistema che punti alla centralità della persona nei servizi di cura e assistenza”.

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