di Tania Careddu

Il mondo è denutrito. E gli italiani sono scarsamente nutriti di informazioni sulla fame nel mondo. Anche dopo Expo Milano 2015. Doveva essere un momento (?) di riflessione collettiva sul tema legato all’alimentazione nei termini della fame nell’intero pianeta, delle sue cause e delle possibili soluzioni, ma pare sia stato così solo in minima parte. Almeno stando alle conoscenze degli italiani, rilevate dall’indagine condotta da Mani Tese, "Il pianeta non nutrito", nemmeno Expo 2015 - che per la maggior parte dei connazionali è stata una grande fiera per promuovere prodotti, marchi e aziende oltre che una sorta di menu globale - è servito a informare sulla diffusione della fame, che pure risulta la priorità nell’agenda personale per l’umanità.


Ignorano che ottocento milioni di persone la soffrono ma che più di due miliardi siano in sovrappeso. E invece, il 41,5 per cento di loro è convinto che il problema della fame nel mondo sia, numericamente, prevalente su quello del sovrappeso. Ammesso che sappiano che la comunità internazionale si è data, per il 2030, l’obiettivo di annullare la fame a livello globale, la parte più consistente della popolazione del Belpaese si aspetta una riduzione moderata o addirittura nulla.

E quella minima parte che pensa che, da qui a quindici anni, la fame possa essere sostanzialmente debellata, nutre, però, una visione distorta sulle ipotesi di risolvibilità. Ossia: invece di pensare che la Terra non sia in condizioni di nutrirci tutti con gli attuali sistemi di produzione e sono necessarie innovazioni tecnologiche diffuse, unite a una forte liberalizzazione degli scambi commerciali tra i paesi per aumentare la disponibilità di cibo, idealizzano (erroneamente) un pianeta in grado di fornire cibo a tutti anche a fronte di una crescita (che ci faccia toccare i dieci miliardi di abitanti del pianeta) della popolazione mondiale e che la piaga della fame sia dovuta alle differenza, alla disparità di distribuzione della ricchezza e dell’accesso al cibo.

Per tutti, la fame nel mondo - sebbene sia considerato un fenomeno multicausato, con guerre e conflitti interni ai paesi, sfruttamento dei terreni hic et nunc, tecniche produttive, strumenti e infrastrutture inefficaci in molte aree del mondo, fra le ragioni più considerate - è causata da un sistema economico che favorisce una parte del globo rispetto alle altre. Ignote le proposte elaborate (per ridurla) tra i decisori mondiali - tipo utilizzo di diserbanti, OGM, che contribuiscono alla resa dei terreni - e le diciotto soluzioni.

Quella che potrebbe caratterizzare il futuro del pianeta nei prossimi decenni è quella meno nota agli italiani, cioè quella associabile alle teorie liberali: favorire un’alimentazione omogenea a livello mondiale, diffondere l’uso di sementi nuove e OGM, liberalizzare i mercati, ribassare i prezzi al consumo dei prodotti, impedire il land grabbing, avere sistemi decisionali democratici che coinvolgano produttori e consumatori, evitare il vantaggio dei ‘grandi’ sui ‘piccoli’ negli scambi commerciali e bloccare la speculazione finanziaria.

Sarà perché è un problema sempreverde e perciò, paradossalmente, silente o perché è geograficamente lontana da noi (secondo la logica della vicinanza che rende sensibili ai fatti), ma sta di fatto che la denutrizione ha l’aspetto di una crisi dimenticata. Tra le nostre portate.

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