di Rosa Ana De Santis

Il 2015 si chiude di solito alla vigilia del brindisi con il ricordo dei nomi noti che ci hanno lasciato. Divi del palcoscenico e della tv. E’ canonico l’album dei ricordi dei vip sulle prime pagine. Quest’anno si unirà la triste conta delle vittime del terrorismo cadute nei confini d’Europa. Senza dubbio andrà cosi. Ma proviamo a contare l’anno da altri numeri che di “famoso” e di noto non hanno proprio nulla e che pure raccontano di un’ecatombe silenziosa.

Il 2015 è un anno di morti soprattutto anonimi. Nomi che se abbiamo sentito per sbaglio da un telegiornale, non ricorderemo mai. Sono cresciuti questi morti, vertiginosamente, nelle acque del mare. Quello delle vacanze predilette al Sud. Quello delle coste mozzafiato. Da quando Mare Nostrum si è trasformato in Triton le persone muoiono come mosche. A fornire i dati l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite e le infografiche dell’Organizzazione internazionale dei Migranti.

Sono ad oggi 893.970 le persone venute dal mare verso l’Europa nel solo anno 2015. Di queste, 3.600 sono i morti e i dispersi nelle acque del Mediterraneo, 627 nel Mar Egeo, 2.889 nel Mediterraneo, 85 ad un passo dalle coste della Spagna. Un resoconto mondiale parla di ben 5.014 persone morte di migrazione e la maggior parte di queste ha perso la vita in mezzo al Mare Nostrum.

Una stima che rischia di essere al “ribasso” facendo riferimento a quel poco di documentabile che c’è nell’esodo di queste persone. Di poche ore fa la cronaca di altri due naufragi nelle acque dell’Egeo. Dei 27 migranti morti, 17 erano bambini. E veniamo a loro.

Nel 2015 le fonti dicono che più di 700 bambini sono morti nel viaggio in mare. Non a caso definita da Monsignor Perego, direttore della Fondazione Migrantes, una “strage silenziosa”, perché di essa si occupano i media e i parlamenti rivendicando l’agonismo politico del migliore accordo, ma nessun serio e profondo moto di dolore per queste vite perdute perché, semplicemente, non appartengono a nessuno.

E’ la cittadinanza che da corpo al dolore pubblico. Pensiamo alle vittime di Parigi. Senza questo status si perde visibilità, corporeità persino e le morti diventano leggere. Impalpabili. Torna attuale il pensiero di Hannah Arendt sulla cittadinanza, sulla privazione esistenziale dell’essere apolidi, in questo caso per necessità e costrizione.

Diventa chiaro perché di questi morti rimangono solo croci tutte in fila a Lampedusa. Sembrano le brutte copie delle sepolture dei caduti in guerra. Tutte uguali, ma di legno e senza eleganza. Non ci sono uniformi alla memoria, ma ciabatte, scarpe galleggianti lungo la riva, coperte e stracci.

Secondo le analisi della Fondazione Migrantes i morti del 2015 hanno raddoppiato le stime del 2014. Questo conferma che l’esodo è in crescita e inarrestabile e soprattutto che sono rimaste al loro posto le ragioni di questa disperata fuga. La Libia in prima battuta. Dimenticata dalla politica estera dell’Occidente all’improvviso e ormai fucina di partenze continue in mano ai criminali.

Fu criticata Nilufer Demi quando catturò il corpicino senza vita di Aylan, il bambino siriano di tre anni rimasto ucciso dal naufragio del suo barcone e ripescato da un militare sulle coste di Bodrum. Faceva impressione quella foto. Quel piccolo morto nelle braccia del suo soccorritore che fino a un secondo prima di avvicinarsi pregava affinché quel bimbetto fosse ancora vivo. Si è iniziato a parlare di rispetto, di pudore, di tutela dell’infanzia. Tutto questo davanti ad un bambino ucciso per niente.

E’ invece quella la foto che manca sul cimitero degli anonimi. Molti dei quali ancora sott’acqua insieme ai pesci. E’ l’epitaffio atteso. Ed e’ la foto di quest’anno, che racconta ciò che è stato e forse anche ciò che non faranno per impedire che succeda ancora.

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