di Tania Careddu

Bisogni in aumento versus risorse pubbliche disponibili. E’ questa, in slogan, la situazione in cui si trovano, in Italia, i due milioni e mezzo di anziani non autosufficienti. I quali, per un qualche tipo di limitazione funzionale, gravano sulle famiglie. Sono esse che sopperiscono alle carenze strutturali dei servizi pubblici formali di assistenza, tramite contributi sia in termini di cure prestate sia in quelli economici, ricorrendo al pagamento di servizi privati.

Perché risale al 1988 l’estensione dell’indennità di accompagnamento agli ultrasessantacinquenni e, dopo un vuoto normativo di circa trent’anni e pesantissimi tagli nel biennio 2011-2012, solo nel 2015, il Fondo nazionale per le autosufficienze ha avuto una dotazione di quattrocento milioni di euro.

Eppure, la copertura dei servizi risente ancora di una forte frammentazione territoriale: fra regioni più virtuose e altre più avare, il dato ricorrente, leggibile fra le righe del Rapporto "L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia", curato dal Network Non Autosufficienza, è che tutte, anche alla luce della solita vecchia dicotomia tra settentrione e meridione, sono investite da un trend negativo.

A fronte dei bassi livelli di copertura dell’assistenza continuativa formale - vedi l’assistenza domiciliare integrata, più generosa al Sud, i servizi di assistenza domiciliare e i presidi residenziali - lo Stato si trincera dietro la concessione dell’indennità di accompagnamento, che rimane lo strumento prevalente di copertura per gli anziani non autosufficienti, soprattutto al Centro-Sud, aumentata solo, però, per effetto degli adeguamenti inflazionari. Con esiti, quindi, deludenti: il numero dei beneficiari è in contrazione.

Tanto che il settore pubblico destinato all’uopo è necessariamente (inter)dipendente e certamente complementare con quello privato delle cure informali. Un famigliare (preferibilmente) o un assistente (badante) forniscono, facendo ricorso a tutti gli strumenti loro disponibili, il principale supporto: domestico, di accompagnamento, di aiuto nelle pratiche burocratiche e sociali.

Con un conseguente (obbligato) calo dell’utenza che si rivolge ai servizi pubblici e la tendenza al ridimensionamento dell’offerta: nell’accesso ai primi, infatti, le risposte tendono a concentrarsi verso i casi più gravi e, quanto al contenuto degli interventi, persiste la difficoltà dei gestori ad assicurare assistenza secondo standard adeguati al bisogno.

Portando così le famiglie degli anziani a trovare risposte anche attraverso un uso distorsivo dei servizi formali. E a sostenere costi diretti (per le spese di cura) e indiretti (aumentando doverosamente il tempo dedicato a loro con la conseguente diminuzione del tempo lavorativo) che pesano sulla qualità della vita dei figli adulti.

Insomma: la condizione di non autosufficienza degli anziani in carico alle famiglie rappresenta un fattore in grado di aumentare il rischio di povertà delle nuove generazioni (figli adulti, appunto). Che, allo stato attuale, possono ancora contare sulle pensioni delle vecchie generazioni accudite. E poi, i posteri potranno contare sulle loro quando dovranno essere assistiti?

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