di Tania Careddu

Tutti alla ricerca di un’identità. Di migliori e più umane condizioni di vita e di lavoro. Da un’Italia che, da sempre, è terra di saluti e di accoglienza, di ritorni e di addii. Ma, sempre, per i quattro milioni e seicentotrentasei e rotti cittadini italiani residenti all’estero, con la memoria nella valigia, come elemento portante, legame forte del divenire, nella certezza che conoscere la propria storia serva a capire il presente.

Di emigrazione, caratterizzato, nell’ultimo decennio, da una serie di fattori e situazioni nazionali e internazionali che hanno condotto a un profondo cambiamento nelle caratteristiche della mobilità in generale, e di quella del nostro Paese, in particolare.

Affetto da schizofrenia: che, da una parte, si è sempre più confermato quale meta strutturale per tanti immigrati, mentre, dall’altra, in una delle più lunghe recessioni economiche e occupazionali della storia, vede giovani, famiglie e anche anziani, partire. Storicamente dalle regioni del Sud, ma, attualmente, anche dal Nord: pur restando la Sicilia, la prima regione di origine degli italiani all’estero, seguita dalla Campania, dal Lazio e dalla Calabria, il confronto con i dati delle precedenti edizioni del Rapporto Italiani nel mondo, redatto da Migrantes, pone in evidenza una marcata dinamicità delle regioni settentrionali, specialmente della Lombardia e del Veneto.

Verso l’America e l’Europa. Meta preferita dai Millennials, già a partire dagli studi universitari, intesa come luogo di scambio, in cui hanno la possibilità di mettersi alla prova e di spendere le proprie competenze. Sono ‘migranti’ istruiti, i più istruiti dal Secondo dopoguerra a oggi, ma anche i più penalizzati. Bravi ma senza prospettive nel loro Paese natìo.

Nel quale, qualora facesse capolino l’opportunità di una buona e concreta occasione lavorativa, tornerebbero: sono gli Expat. Giovani in movimento della stessa generazione dei Millennials, promotori di innovazione sociale, pronti a frasi apprezzare nelle aziende estere o intenzionati a dare vita a una attività propria. Che vivono l’emigrazione come una possibilità, una carta da spendere. E sebbene la partenza li investa di un bagaglio di nostalgia, resistono e desistono dal tornare a casa.

E cosi vanno a ingrossare le file degli emigrati italiani che hanno contribuito con le loro conoscenze, la loro destrezza, la genialità e il talento a rendere migliori diversi luoghi del mondo. E che, nonostante il momento poco propizio per il Belpaese, sono esempio di dedizione, sacrificio, professionalità e ingegno.

Dai vecchi mestieri che hanno esportato all’estero - tipo il minatore, lo spazzacamino, il barbiere, il viticoltore, il ramaio della Valle del Noce, il vetraio di Altare, il gelatiere, il ristoratore, il suonatore d’arpa o il riquadratore di Sala, fino ad arrivare all’attualissimo calciatore - arriverà un giorno in cui la decisione di partire deriverà totalmente da una scelta e non da un obbligo?

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