di Tania Careddu

Facilitano l’esercizio dei diritti familiari e genitoriali delle famiglie italiane. E sono la miglior risposta alla nostra non autosufficienza. Eppure, le badanti sono vittime di un’irregolarità diffusa che le porta a condizioni di lavoro informali e a scarse tutele. Tipo: la forma di lavoro per la quale spesso non sono professionalmente qualificate, l’orario di lavoro eccessivo, l’alloggio - il più delle volte condiviso con la persona assistita - la dimensione familiare negata con i figli rimasti nel Paese d’origine.

Oppure, se ricongiunti, portatori di situazioni complicate da gestire per la lavoratrice, sotto il profilo della conciliazione dei tempi, del benessere psico-sociale dei figli e dell’integrazione della famiglia in generale.

L’irregolarità contrattuale, secondo quanto si legge nel report Lavoro domestico e di cura: pratiche e benchmarking per l’integrazione e la conciliazione della vita familiare e lavorativa, redatto da Soleterre e Irs, riguarda quasi i due terzi delle assistenti familiari.

Delle ottocentotrenta mila, duecentosedici mila risiedono irregolarmente in Italia, senza alcuna prospettiva di formazione, sviluppo professionale, connessione con i servizi pubblici, sono vittime di una segregazione anche sociale, costrette come sono a corisiedere con l’assistito, in un rapporto di dipendenza personale che impedisce di relazionarsi al contesto e di chiedere il ricongiungimento familiare.

Duecentocinquantatre mila, pur risiedendo regolarmente, lavorano senza contratto: condizione precaria ed aleatoria professionalmente ma che, se non altro, lascia maggiori spiragli di integrazione. Trecentosessantuno mila sono totalmente in regola: talvolta è una regolarizzazione ‘grigia’, le ore dichiarate sono inferiori a quelle effettuate, l’inquadramento è in una categoria inferiore e il riconoscimento dello stipendio è pari al minimo tabellare.

E però, la negazione dei diritti, le esigenze lavorative che impongono di corisiedere (pure per gli elevati costi del mercato immobiliare) con l’anziano assistito, condizione di sei badanti su dieci, sono fattori che incidono pesantemente sulle possibilità di conciliazione e di attuazione di scelte famigliari di ricongiungimento. Esposte ad alti livelli di stress, le badanti si cimentano, oltre che nella cura e nell’assistenza tout court, soprattutto nella gestione emotiva dei rapporti, che riguardano spesso persone sole e isolate, frequentemente in condizioni di totale non autosufficienza.

L’impatto di questo rapporto sulla loro vita è molto significativo dal punto di vista psichico. E, il ritorno a casa, peggiora la situazione. Fanno una crisi depressiva che spiegano così: la maternità a distanza, la continua prossimità con la malattia e la morte degli anziani, le pesanti condizioni di lavoro, la perdita della propria identità professionale e l’impossibilità di mettere a valore quanto appreso in Italia, l’erosione dei legami sociali con gli amici rimasti in patria.

L’Europa dell’Est e il Sud America. Da cui sono partite per arrivare in Italia, in forma massiccia, negli anni Novanta. Anche se negli ultimi anni il fenomeno ha rallentato la sua corsa ed è meno dinamico, il lavoro di queste ultraquarantenni, madri di figli rimasti ‘orfani bianchi”, è sempre consistente: assistono un milione di anziani, un numero pari a quasi cinque volte quello degli ultrasessantacinquenni ricoverati in strutture residenziali e a quasi sei volte di quelli seguiti a domicilio dai servizi di assistenza domiciliare comunali.

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