di Tania Careddu

Paura del diverso e del più vitale. Il falso e il vero. Il vecchio e il nuovo. L’ignoranza e il policentrismo. Qualità e consumo zero. E’ l’Italia, bellezza. Lo dice il 48esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2014, che interpreta i più significativi fenomeni socio-economici dello Stivale. Nell'ordine: sbarchi di migranti che destano allarme. Numeri che mettono a dura prova il sistema di accoglienza. Strutture inadeguate. Poca inclusività.

In Italia, agli immigrati non è concessa la possibilità di votare sulla quale, invece, si giocano molte delle opportunità di farli sentire protagonisti di un destino comune. Eppure, loro, reagiscono alla crisi inserendosi negli spazi lasciati vuoti dai nostri connazionali, cercando di fare una mixitè tra la propria cultura e la nostra.

Forse anche in maniera irregolare che favorisce, purtroppo, la diffusione di mercati illegali, quali l’abusivismo commerciale e la vendita di merci contraffatte. Che il 74,6 per cento dei giovani acquista regolarmente: dall’abbigliamento alle scarpe, dai portafogli agli occhiali, dai gioielli agli orologi. Ma non è tutto falso.

Il patrimonio culturale, per esempio, è reale e se ben sfruttato può muovere ingenti somme di denaro in entrata. Cosa che non succede nel mercato dei media: cala a picco la vendita dei quotidiani tanto che, oggi, nella Penisola si vende poco più della metà delle copie di quotidiani che si vendevano venticinque anni fa. Sempre più preoccupati del proprio piccolo mondo, dagli italiani è l’informazione locale quella più seguita. Anche perché permette un rapporto più diretto con i soggetti territoriali, vedi le amministrazioni pubbliche, sempre in sofferenza vuoi per l’allungamento del mantenimento in servizio dei dipendenti pubblici vuoi per il blocco del turnover, strumento efficace di contenimento della spesa.

L’attenzione al ricambio generazionale potrebbe essere il campo di sfida su cui misurare l’intervento riformistico del Governo, in un momento di congiuntura economica sfavorevole. In cui, per ora, calano le imprese manifatturiere, fiore all’occhiello dell’economia italiana, ma aumenta il livello delle loro esportazioni all’estero, contribuendo a mantenere il Belpaese nei primi venti posti, a livello mondiale, per operatività sull’estero. Artigianalità, design, originalità, funzionalità, rispondenza alle aspettative di mercato, le caratteristiche dei prodotti nostrani.

Apprezzata all’estero pure l’industria delle apparecchiature biomedicali e per la diagnostica. Ed è verso la sanità che gli italiani destinano le proprie risorse economiche: vivono a ‘consumo zero’, rinunciando al superfluo, ma spendono per la white economy, ossia per tutto ciò che attiene all’offerta di cure mediche; la gestione dei soldi è fatta di contanti e depositi bancari, secondo il motto ‘soldi vicini per ogni evenienza’.

E sebbene il Sistema Sanitario Nazionale rimanga il punto di riferimento per il benessere di tutta la società, nonostante le politiche di contenimento attuate con la manovra sulla sanità, lo stato sociale (welfare, in inglese) fa figli e figliastri: penalizza pesantemente i giovani “fino a produrre una sorta di loro estraneità alla protezione sociale” mentre, se si considerano la spesa pubblica per le pensioni e l’elevato consumo di sanità pubblica, emerge un notevole costo sociale della longevità.

Di fatto, protagonisti di una distribuzione orizzontale che colma i buchi lasciati dallo stato sociale, non sono passivi destinatari di risorse monetarie o servizi. Anzi, gli over cinquanta presentano un andamento occupazionale in controtendenza rispetto al movimento della (dis)occupazione giovanile: o scelgono di rimanere al lavoro pur avendo maturato i requisiti per il pensionamento o si rimettono in gioco per ovviare al peggioramento delle condizioni economiche.

La soluzione per lo sviluppo socio-economico risulterebbe essere quella di investire per l’ampliamento dei servizi prescolari, obiettivo non raggiunto nel 2010 e riproposto per il 2020. Per il momento, in una situazione di crisi economica che continua a mordere gli individui, accresce ansie e inquietudini, l’unica certezza sembrerebbe risiedere nella propria personalissima crescita umana. Non aiuta il territorio, estraneo perché troppo violato, né il lavoro, distante dalla propria realizzazione, nemmeno il reddito, sempre più incerto, non i consumi, sempre più ridotti all’osso.

Per gli italiani, l’identità si fonda sulla nostra natura umana e sulla nostra formazione, sulla solidità di principi che custodiamo, sul capitale di conoscenza che possediamo, sulla nostra dimensione interna più intima. Così da poter sostenere quei settantotto giorni all’anno di solitudine e isolamento che, mediamente, un italiano è costretto a sopportare. Nonostante i social, strumenti attraverso i quali si dovrebbe scoprire il mondo e relazionarsi con l’altro da sé e che, invece, vedi la pratica dell’autoscatto (selfie, in inglese), diventano specchi introflessi in cui guardarsi narcisisticamente. Viva l’Italia.

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