di Giovanna Pavani

Settembre 1975 Oggi le donne scendono in piazza a Milano per difendere la legge 194.
A sfilare dalla Stazione Centrale fino a piazza del Duomo, si rivedranno i volti ammorbiditi dagli anni di tante "pasionarie" che negli anni '70 questa legge l'hanno fortemente voluta e duramente conquistata. Al loro fianco, forse, ci saranno figlie e nipoti, più avvezze di loro, oggi, a giocare con la vita senza sentirsi addosso il fardello delle inattese - e a volte sgradite - conseguenze dell'amore. Ma si vedranno senz'altro anche le donne immigrate, quelle che in questi anni hanno fatto maggiore ricorso alla legge e che, anche se non hanno affrontato il passo serenamente, senza dubbio sono state contente di aver comunque potuto operare una scelta. Sono condizioni diverse da allora quelle che portano in piazza oggi le donne. Negli anni '70 c'era un'emergenza in atto che l'ipocrisia cattolica costringeva a rimuovere ed i tribunali declinavano solo come reato penale. Ma l'ecatombe era sotto gli occhi di tutti e per quanto fosse imbarazzante pronunciare apertamente la parola "aborto", per uno Stato che non è mai stato veramente laico, bisognava comunque porre un freno allo strazio di pozioni di prezzemolo bevute bollenti che procuravano solo blocchi renali; lunghi tavoli da cucina attorno ai quali si muovevano agevolmente le "mammane", giovani ricoverate d'urgenza con un ferro da calza conficcato nell'utero per porre fine, in vergognosa solitudine, a una gravidanza indesiderata.

Clandestinità, morte, infezioni, disperazione, solitudine. Quando la legge 194 fu approvata, si era finalmente fatto spazio il principio per cui abortire non era una libertà concessa alle donne, ma una tragica necessità: comunque la rappresentazione giuridica del diritto civile di scegliere. Tuttavia il mondo cattolico (ma non solo quello) la 194 non l'ha mai digerita e non rinuncia ancora a ribadire che la donna conta solo nel suo ruolo di madre; dunque la scelta drammatica e la sofferenza della rinuncia a un figlio non possono che essere qualcosa da condannare senza appello.
Si era pensato, comunque, che con l'approvazione della legge lentamente anche la società avrebbe cominciato a modellarsi sulla base di questa nuova conquista di civiltà, accettando di fatto che la scelta delle donne di essere o meno madri dipendesse solo da loro, con il rispetto e la solidarietà che si conviene a quelle invece costrette a una scelta che segna il resto dell'esistenza e provoca talvolta rimpianti e rimorsi. Invece no.


Il lento e inesorabile fiume carsico della pressione psicologica esercitata dalle alte gerarchie cattoliche e trasposto in politica da chi, nel centrodestra, non è certo sensibile alla vita, ma mira ai voti dell'elettorato parrocchiale, sta tentando di rimettere in discussione la legge sull'aborto. Non lo dicono con chiarezza, mistificano le intenzioni reali attraverso inutili commissioni d'inchiesta sull'applicazione della 194 mettendo in mora, di fatto, il lavoro dei consultori dove si auspica, addirittura, l'arrivo dei volontari "per il diritto alla vita", per dissuadere le donne e richiamarle a quello che è il loro unico e reale dovere: essere madre. Comunque, a qualunque costo.

L'attivismo degli anti-abortisti sta crescendo di pari passo con i progressi della scienza, che già ha fatto il "danno" di andar contro il dettato biblico del famoso "donna partorirai con dolore", consentendo invece, più o meno a tutte, di godere appieno la nascita del proprio bambino con un'anestesia epidurale. Adesso poi, con la Ru 486, la mefistofelica scienza dimostra addirittura che si può abortire senza rischi, senza danni. Senza ricordi, ma mai senza rimorsi.
Eppure ci si sente dire - e proprio da chi dovrebbe, come il Papa, essere il testimone vivente di cosa significano le parole compassione, misericordia e perdono - che una risorsa della scienza, come la Ru 486, che mette le donne sempre a minori rischi di complicazioni e di danni, è da leggere, in realtà, come un qualcosa che "banalizza il dramma della scelta contro la vita". Oscurantismo medioevale.

Le donne che saranno oggi in corteo a Milano lo faranno anche per rispondere a questo insulto, che sembra nascondere anche ad una paura diversa: quella di assegnare alle donne il diritto di parola e di scelta sui loro corpi. Quella che un'eccessiva libertà al femminile possa minare le fondamenta del modello cattolico di società, basata sulla famiglia e su una preistorica distinzione dei ruoli tra maschio e femmina. Senza contare poi il richiamo al "peccato mortale", che funziona sempre con chi vive nel timor di dio, ma scuote comunque anche le coscienze dei laici più solidi.
La 194, insomma, sta correndo un grosso rischio, quello di essere radicalmente cambiata con la solita scusa del miglioramento per metterla "al passo con i tempi". A ben guardare non è poi cambiato molto dagli anni '70, perchè sembra tornato di gran moda il clima d'allora fatto di caccia alle streghe, di proliferare di volantini davanti alle chiese, con foto di feti abortiti e fatti a pezzi e la colpevolizzazione del sesso come piacere. Soprattutto per le donne, notoriamente destinate al dolore.

Ma, come 30 anni fa, le donne non hanno alcuna intenzione di essere messe sotto tutela, non vogliono essere insidiosamente pressate a non scegliere e fustigate se invece lo fanno; vogliono amare ed essere amate senza sentirsi in colpa o provare vergogna, vogliono ribadire il concetto che essere madri è una cosa meravigliosa e che non esserlo costa parecchio, ma è pur sempre una scelta che nessuno si dovrà mai sentire in dovere di prendere al proprio posto.
Le donne vogliono scegliere. Per questo oggi scendiamo in piazza.
E saremo certamente in tante.

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