di Rosa Ana De Santis - Alexis Nzola

Il caso delle adozioni internazionali legate allo Stato del Congo esplode sulla stampa nazionale, con sincronia provvidenziale, nei giorni di Natale, obbligati per costume al rito della bontà. L’editoriale del 24 dicembre sulla prima del Corriere della Sera, a firma di Aldo Cazzullo, denuncia la “burocrazia senza cuore” che tiene 24 coppie italiane di aspiranti genitori bloccate in Africa ad un passo dalla chiusura dell’iter che avrebbe permesso loro di tornare a casa con il figlio dato in adozione. Si invoca un nuovo intervento del Ministro Kyenge a Kinshasa.

Accade cosi che mentre tutti si addolorano sulla situazione di incertezza e confusione che grava su questi cittadini italiani in attesa, certamente vittime di un ingranaggio ben più ampio e complicato, pochi si interroghino sulle origini e le motivazioni che hanno spinto il governo del Congo ad agire in questo modo. Forse la fotografia di un Paese che nega diritti a bambini orfani di avere una famiglia è troppo odiosa per essere tutta reale. E forse l’informazione dovrebbe tener conto dello scenario e non solo delle lacrime sul finale.

Dal 25 settembre scorso il Congo ha dovuto sospendere per un anno tutte le adozioni internazionali per sospetti di irregolarità riguardo le pratiche e le procedure di adozione. Dato curioso a questo proposito, infatti, è che mentre risulta diminuito notevolmente il numero delle adozioni internazionali, la domanda per bambini Africani (Etiopici e Congolesi in special modo), negli ultimi 3-4 anni è rapidamente aumentata. Parallelamente a questo aumento di richieste va tenuto conto del rapido fiorire di numerosissime agenzie deputate alle pratiche di adozione. Molte quelle religiose, tante quelle made in USA. Per tutti lavoro e guadagno sotto vari punti di vista.

Di fronte a questa anomalia le autorità governative hanno dovuto vederci chiaro e lo hanno fatto anche su pratiche in dirittura d’arrivo. C’è chi la chiama crudeltà burocratica e chi non può fare a meno di pensare che ci siano varie forme di corruzione e di irregolarità dietro ai numeri di questo aumento di figli africani. Ancor più strano se si riflette su quello che è sempre stato l’atteggiamento degli Stati Africani di fronte al tema dell’adozione.

Il Congo infatti, come altri paesi, non ha ancora ratificato la Convenzione di Hague che disciplina la materia adozioni e ha sempre preferito una politica di sostegno a distanza sul modello rivendicato da Unicef e su cui ufficialmente si è espresso con parere favorevole il Forum dei Paesi Africani ad Addis Abeba nel 2012.

L’opzione del sostegno nel Paese d’origine rappresenterebbe, se esteso, sia un modo per ovviare alle corruzioni bipartisan, al business dei curatori delle pratiche e alle rigidità dei rapporti bilaterali, che una formula ben coniugabile con il tessuto culturale di moltissimi Paesi Africani legati all’organizzazione sociale dei clan dove in effetti, e anche questo è stato spesso svelato, è quasi impossibile diventare realmente bambini orfani, pur nell’assenza dei genitori biologici.

Presentare quindi il caso del Congo come uno scontro tra una crudele “ragion di Stato” e i diritti dei bambini, un duello di carte e leggine, è un modo parziale e inutile di presentare la storia di questi italiani. E non si riesce a capire come mai, pur sapendo che il Congo aveva bloccato le adozioni, le famiglie siano partite lo stesso. Chi ha insistito affinchè l'operazione non si fermasse e chi, nel caso, ha garantito che si sarebbe potuto procedere nonostante il blocco deciso dal governo?

O forse, dal momento che si tratta di un governo di un paese africano si riteneva un qualunque atto normativo non sufficiente a fermare l'operazione? Sono molti e nessuno di essi positivi i dubbi che si generano intorno ad una condotta poco chiara. E che sia semplice agire in profondità nella tempesta emotiva che assale le coppie che dedicano ogni sforzo ed ogni sogno all'adozione di un bimbo é evidente; ma rende la vicenda meno trasparente e consegna queste coppie al ruolo di vittime.

Ma non di un paese che vuole capire. Piuttosto di quanti hanno ingrassato tasche e potere sull’affare degli orfanotrofi, su quanti hanno raggirato famiglie povere per avere finti orfani spendibili. Le obbligate indagini suonerebbero meno spietate se a farle fosse uno Stato non africano. Allora si parlerebbe di scandali e necessaria tutela dell’infanzia. Allora non avremmo potuto scrivere con eccesso di semplificazione di un Paese che impedisce a degli orfani di avere una famiglia. Ma così non avremmo avuto il nostro Natale.

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