di Rosa Ana De Santis

E’ arrivata la condanna, dal tribunale di Alessandria, a dieci anni di reclusione con rito abbreviato per l’uxoricida William Holmes, che uccise la moglie Patricia Ann, gravemente malata. Una forma dolorosa e senza scampo di artrite reumatoide l’aveva convinta - questo ha sempre sostenuto Holmes - a non voler proseguire l’agonia di attesa di una morte sicura e dolorosa, solo protratta nel tempo.

Il caso potrebbe far pensare a un tipico caso di suicidio assistito, non riconosciuto in alcun modo dalla legge dello Stato Italiano. Ma non è propriamente cosi, dal momento che la cronaca dell’episodio in questione proponeva indubbiamente delle caratteristiche anomale.

La moglie ammalata non venne infatti accompagnata alla morte con la forte dose di tranquillante, in autonomia e con aiuto medico esterno come ci aspetterebbe e come accade altrove in cliniche specializzate, ma ulteriormente pugnalata una volta addormentata dalle medicine. L’atto del pugnale altera moltissimo il quadro della pietà che spesso convince pazienti e familiari e intraprendere questa strada. Il marito era rimasto peraltro in casa con il corpo della moglie già morta e avvolta in un telo sudario prima di costituirsi. Una scenografia certamente particolare.

Il suicidio assistito differisce dall’eutanasia perché la persona mette fine alla propria vita con assistenza specializzata, ma in autonomia e questo avviene, per l’Europa, in Belgio, Lussemburgo, Olanda e Svizzera. Una casistica tutto sommato anche più lineare sul caso della gestione giurisprudenziale rispetto al caso tipo “Eluana Englaro” e alle persone che versano in stato vegetativo persistente cronico. La consapevolezza della scelta e il pieno possesso delle proprie facoltà mentali rende possibile un consenso informato immediato e confermato fino all’ultimo.

Il caso Holmes, ancora una volta e aldilà del preciso merito giuridico della responsabilità penale del marito omicida, ricorda in ogni caso l’indecenza italiana di un testo di legge sul testamento biologico rimasto impaludato nella paura culturale di esplorare un terreno etico certamente complesso, ma ormai ineludibile con i traguardi delle cure e della medicina.

Per una paziente affetta da una patologia cronica e degenerativa come Patricia Ann può diventare determinante esprimere un parere sulle cure e sulla loro efficacia e più probabilmente sull’accanimento terapeutico rimasto, ad oggi, una decisione di quasi esclusiva proprietà intellettuale dei medici e degli operatori sanitari. Tanto più vero se pensiamo al paternalismo medico ancora molto presente in Italia.

Il testamento biologico è anche un modo per affrontare degnamente, anche dal lato delle Istituzioni, in tutti gli ospedali la cosiddetta terapia del dolore e le cure palliative, spesso relegate alle sole fasi terminali di persone che si ritrovano a sopportare per lungo tempo dolori fisici invalidanti in strutture ospedaliere non attrezzate come necessario.

Probabilmente, come il difensore di Holmes ha cercato di dimostrare, si è trattato di un “omicidio consenziente”: una definizione bizzarra che bene mostra le contraddizioni e i limiti di una legge che non ha bandito, ma ha preferito non normare la fine della vita. Il caso è analogo a quello dell’embrione con la fecondazione e la legge 40. Sono stati i casi singoli e gli appelli ai tribunali europei a svuotare quella legge di senso e esigibilità. Non è bastata Eluana invece a convincere il Parlamento a lavorare sulla fine della vita.

Oggi un cittadino non può rilasciare un DAT (Dichiarazione Anticipata di Trattamento ndr) a norma di legge: ma può finanziarsi un viaggio della morte in Europa, o chiedere a un familiare o a un medico un aiuto emotivo in clandestinità. O soffrire fino a spegnersi in un hospice. Perché così vuole un Paese che sceglie al posto di tutti la vita che si deve vivere ad ogni costo. La violenza che voleva tenere Eluana contro la sua volontà in quel letto. Contro l’amore sommo che ha portato un padre ad onorare quella decisione.

Il caso Holmes, certamente di tutt’altro genere, ricorda lo stesso conflitto tra sentimenti e legge. Tra Stato e famiglia. Tra il paese in cui la coppia viveva  che lo ha assolto da tempo e senza dubbi - e l’Italia dei tribunali e degli scranni che ancora una volta mostra la tradizionale paura di aprire un serio dibattito di coscienza. L’ancoraggio affezionato all’immutabilità di alcuni assiomi morali che fa macerie di bisogni, di nuovi diritti e ancora una volta dei cittadini più fragili.

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