di Rosa Ana De Santis

In un volo a picco di undici piani, a Roma in zona Casilina, muore un giovane di 21 anni. Il suicidio, su cui le indagini sono in corso, è avvenuto nella notte del 26 ottobre. Una lettera indirizzata ai genitori per confessare l’identità sessuale, il tormento, il “non stare bene in questa vita”. Tutto da dimostrare se avesse subito angherie o vessazioni a causa del suo orientamento sessuale. L’allarme c’è in ogni caso dato che si tratta di un ennesimo episodio, il terzo suicidio in un anno in una fitta costellazione di episodi discriminatori e di vera e propria violenza.

Si è subito levata la voce di Sel e dell’Arcigay per rammentare, sull’onda di questo triste fatto di cronaca, come la questione sull’omofobia sia ancora del tutto aperta, a partire da un testo di legge che è riuscito a procurare forse più problemi di quanti fosse chiamato a risolverne.

La questione dell’omosessualità in un orizzonte culturale come quello italiano è certamente ancora un tema aperto e non pienamente metabolizzato nella cultura familiare prima e quindi sociale poi per derivazione diretta. Proprio in virtù di questo, in attesa che alcuni processi di integrazione si compiano, la norma deve intervenire a sanare e prevedere speciali tutele per una categoria di persone di fatto più deboli.

Si tratta di un tipico caso in cui è la legge e il sistema politico che possono, in una fase di emergenza sociale, sanare ferite drammatiche sul piano personale e privato. Ancor più drammatiche se le vittime sono giovanissimi e adolescenti.

La legge sull’omofobia, con primo firmatario Scalfarotto del Partito Democratico, è di fatto un allargamento della legge Mancino del ‘93 che condanna le istigazioni alla violenza perpetrate per motivi etnici, razziali e religiosi. La fattispecie introdotta sulle questioni sessuali e sulla comunità Lgbt ha subito però un’insidiosa rivisitazione con l’emendamento di Gitti di Scelta Civica che spiega gli atti discriminatori come quelli portati avanti da organizzazioni e associazioni.

Una sorta di difesa sacra della libertà di pensiero che però autorizza, di fatto, chiunque ad insultare un omosessuale senza che questo rappresenti un’aggravante. Se siamo a questo punto risibile figurarsi parlare di altri diritti quale il riconoscimento delle unioni e coppie gay. Distanze siderali con l’Europa.

La storia di questo giovane che probabilmente era segnata da un turbamento tutto privato ed intimo, magari pur non necessariamente aggravato da episodi di abusi e discriminazione, rappresenta in ogni caso un monito per la vita pubblica di un paese. I drammi psicologici privati, anche nel contesto familiare, possono incappare in solitudini senza scampo, in incomunicabilità, in depressione

La legge dello Stato, il Super Io come lo definirebbe Freud, può assolvere, sul piano simbolico del Padre, non soltanto una funzione di repressione e di speciale tutela, ma anche di educazione e ancor prima di visibilità. Normare è dare un nome, assegnare un’identità a persone ancora invisibili.  Dare loro un luogo. Quello che forse questo giovanissimo faticava a trovare anche dentro le mura di casa o nei luoghi dei suoi affetti.

Per questo smarrimento la legge può fare molto. Per sanare le ingiustizie, qualora questo ragazzo nel silenzio ne avesse patita alcuna, o più semplicemente per attestare la legittima esistenza delle differenze, per non trasformarle in anomalie, per dire a quel cittadino che oggi è minoranza “Io ti difendo”.

A volte è possibile e utile tracciare questo percorso dal fuori al dentro, dalla legge dello Stato a quella dell’affetto per riuscire a verbalizzare, al posto di quel cittadino oggi più debole di altri,  che lo stato è pronto a difenderlo non perché è gay. Ma che in quanto gay, in quanto di pelle scura, in quanto ebreo, in quanto straniero, in quanto donna, lo Stato lo riconosce nella differenza e nell’eguaglianza dei diritti.

La difesa giuridica non è quindi presupposta da un’assimilazione ad un presunto canone neutro di normalità, ma all’opposto sul riconoscimento della sua irriducibilità. Quella che alla fine dei conti, forse un giorno saremo pronti a vederla, ci separa tutti dai tutti. E’l’assoluta differenza che ci fa esistere e ci rende titolati a riscuotere diritti. E’ l’assoluta differenza che può diventare un peso troppo grande sulle spalle di un giovane che non aveva ancora trovato le parole per esprimere nemmeno ai suoi cari la sua idea di vita felice.

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