di Rosa Ana De Santis

Se il governo delle larghe intese è nato, almeno sulla carta, per arginare lo tsunami della crisi, sarà bene dire con chiarezza che fino ad ora ha fallito. Più che il recupero del rottame Concordia, questo si dovrebbe segnalare tra le notizie di prima pagina: gli italiani sono tra i cittadini più poveri dell’area dell’Unione Europea. L’11%,  ben un italiano su dieci,  non ha accesso a beni di prima necessità, quali ad esempio il riscaldamento o la carne a tavola. In termini di ricchezza quindi il sistema Italia sta scivolando nelle classifiche della povertà e del disagio sociale.

E, benché i luoghi comuni vorrebbero un altro racconto della realtà, sono proprio i dati sul sistema sanitario quello che ci permette di apparire ai primi posti nelle classifiche europee, dal momento che risultano migliori di Francia, Germania e Regno Unito. Mortalità infantile e durata della vita media rappresentano dei successi italiani nella media europea degli ultimi dieci anni.

Dunque, le diseguaglianze sulla cura e il diritto alla salute, per quanto accentuate dagli ultimi anni da politiche folli di de pauperizzazione dei servizi, quello sanitario in primo luogo, riescono ancora a non sovvertire quelle che sono le basi costituzionali del nostro sistema sociale. Ma l’allarme sul progressivo e violento impoverimento del paese non può rimanere inascoltato.

La drammaticità del dato non si presta a interpretazioni politicistiche, ha una sua forza oggettiva - purtroppo - nei dati resi noti recentemente proprio da Bruxelles. I numeri della povertà sono stati infatti riportati nella Relazione del Commissario UE per i consumi e la salute, Tony Borg, non dall’associazione di frontiera o dallo sportello dei diritti del cittadino. Ancor più, quindi, l’immobilismo del governo, incatenato al caso giudiziario di Silvio Berlusconi, suona inadeguato e allarmante.

Quasi il 50% dei pensionati percepisce meno di 1.000 euro, la pressione fiscale aumenta progressivamente, non si riesce a fare una patrimoniale seria e mirata, quattro giovani su dieci non hanno un’occupazione e chiudono 12 imprese al giorno. Dati grazie ai quali è persino troppo semplice tratteggiare il quadro di un Paese in bilico.

Dal salotto televisivo di Porta a Porta il premier Letta ha lanciato l’SOS sulla tenuta delle Istituzioni. Non può essere onere del solo Presidente della Repubblica e di quello del Consiglio difendere la vita del governo, mentre il duello dei partiti cresce spingendo verso un voto che porterebbe il Paese ad un impasse. E non perché questo governo sia all’altezza della situazione, ma perché senza una nuova legge elettorale non si risolverebbe il problema.

Il rischio reale, forse su questo il senso di responsabilità di Letta ha le sue ragioni, è che questa legge elettorale consegnerebbe di nuovo l’Italia a dei numeri di ingovernabilità. Tutti in ostaggio quindi del Cavaliere e della sua meditazione sull’appoggio al governo.

Nel frattempo gli italiani non hanno pagato la prima rata dell’IMU e in Parlamento si aggira un decreto legge che spingerebbe le assunzioni a tempo indeterminato. Se tutto questo non è inerzia pura e semplice, tutto questo è solo rimandare. In vista di chissà che colpo di coda sul destino dell’ex premier. Se il salvacondotto ad personam diventerà il baratto affinché questo governo sopravviva, semplice intuire chi continuerà a traghettare la “nave sanza nocchiero nel mare in gran tempesta”.

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