di Silvia Mari

A sentire la Lega, le tasse pagate dal Nord dovrebbero rimanere al Nord. Così, oltre alla riduzione draconiana della spesa sanitaria, l’universalità del servizio diverrebbe definitivamente un lusso per i ricchi. Semmai, proprio il centro-sud avrebbe bisogno di un robusto intervento pubblico di razionalizzazione ed ottimizzazione della spesa sanitaria per la quale già il nostro Paese risulta un’entità spaccata in due. E questo ancor più risulta evidente quando si entra sul terreno della prevenzione, dove si misura la peggiore iniquità tra utenti e cittadini dello stesso paese.

La differenza tra il Nord e il Sud del Paese, frutto di innumerevoli cause, rappresenta un vero e proprio attentato al diritto costituzionale alla salute, sia come priorità dell’individuo che della collettività, come sancito dall’articolo 32 della nostra Magna Charta. A confermare questo dato ci sono i numeri prodotti da uno studio dell’Istituto dei Tumori di Milano e pubblicati sulla rivista Cancer Epidemiology, che restituiscono un ritratto preoccupante della situazione nazionale sulla diagnosi e la cura del tumore del seno e di altre patologie oncologiche, quale il colon-retto.

Nel Mezzogiorno soltanto il 26% dei casi di tumore arriva alla cura ad uno stadio precoce, determinato da una buona e assidua prevenzione. Il resto delle donne arriva già con metastasi, casi avanzati che richiedono trattamenti chirurgici e terapeutici più impegnativi e costosi. Arrivare tardi nel caso del tumore del seno significa aver bisogno di interventi demolitivi della mammella con le conseguenze che questo rappresenta nella vita di una donna. E una donna di Sassari o di Napoli ha molte più cianche che questo le accada di una di Modena.

La ricerca non ha riguardato soltanto il seno, ma anche altre forme tumorali e lo scarto tra le due aree del paese è purtroppo confermato. Il tipo di disavanzo non è soltanto relativo alla diagnosi della malattia, ma anche, alla tipologia delle cure applicate che al Nord si avvale di protocolli più all’avanguardia rispetto alle linee seguite al Sud. Motivo di tanti viaggi della speranza che conosciamo. Nel caso del tumore del seno questo significa ricorrere a radioterapia intraoperatoria, ad esempio, e quindi a chirurgia conservativa o a tipologie plastico-ricostruttive di ultima generazione.

Si può interpretare questa spietata matematica della speranza come il riflesso generalizzato di un atteggiamento culturale resistente alla responsabilizzazione da parte del paziente e quindi alla prevenzione. Questo il motivo che porta Istituzioni e associazioni a battersi per spiegare il fondamentale valore della prevenzione primaria e secondaria. Ma pensare al fatalismo come unico reo di questa geografia dell’ingiustizia significa non voler mettere a nudo le falle di un sistema che viene gestito male, con differenze tra le singole Regioni ingiustificate e motivate unicamente da carenze di ordine politico-governativo, se non da vere e proprie male gestioni come lo stato di commissariamento attuale della Regione Lazio, un esempio in negativo su tutti, dimostra a pieni voti.

La sanità ha certamente subito tagli importanti, quasi 3 miliardi solo nel 2011, ma certamente la gestione delle risorse e la pianificazione degli screening rimane la nota dolente, ancor più affidata al caso e all’estemporaneità se pensiamo poi a quelle quote della popolazione a rischio genetico per alcune neoplasie: ultimi dopo gli ultimi.

Per il tumore della mammella, della cervice uterina e del colon retto non c’è alcuna uniformità tra le Regioni e alcune sono assolutamente sprovviste di piani di screening concreti e seguiti. Chiaro che quest’assenza istituzionale genera odiose disparità economiche tali per cui la salute passa dall’essere un diritto costituzionale ad un benefit di censo che opprime di più proprio le aree depresse dell’Italia. L’adesione ai programmi di screening non supera il 56% per dirla in un numero, e il Sud è il grande assente, rosso come il colore delle legende che evidenziano l’assenza di dati e di risposte della popolazione.

Esiste poi un altro tema ineludibile che è quello dei cosiddetti DRG e dei rimborsi delle prestazioni sanitarie che in una Regione come il Lazio, non proprio la provincia di Kampala, sono ad oggi rimasti fermi a procedure e tecniche operatorie in parte superate da altre, quali quelle della ricostruzione della mammella con tessuti autologhi, ancora non riconosciute dal Ministero della Salute. Un disallineamento che produce una pericolosa asimmetria tra quello che accade in alcune strutture di alta specializzazione e le carte che normano la sanità e i fondi che servono per tenerla in piedi.

Inutile chiedersi perché gli ospedali rischino la bancarotta e perche le liste diventino una specie di imbuto penoso verso il privato, con tutti i rischi del caso. Per non parlare dell’effetto boomerang sulla formazione dei medici.

Un modello virtuoso, in tema di screening, è quello di una Regione come l’Emilia-Romagna che ha decentrato verso il territorio e i cosiddetti centri spoke, allargando il ventaglio del piano di screening mammografico e prevedendo una fortissima  tutela per le persone con mutazione genetica ad alto rischio. Basterebbe copiare la circolare 21 del 2011 o il Dgr 220 dello stesso anno e magari la testa di chi le ha pensate, la mano della politica che le ha volute e attuate. Ma per tutto questo la parola è dei cittadini: il voto e la scelta degli uomini e delle donne al governo.

Gli stessi cittadini che sempre di più sono vittime di questa inefficienza e di questi tentativi, nemmeno troppo sotto traccia, che hanno indotto, per citare la più recente cronaca, il premier para-tecnico Monti a parlare di rivoluzione della sanità. Le eccellenze ci sono e i fondi pure, manca la volontà di far funzionare la macchina e la regia della spesa e non c’è affatto bisogno di rivoluzionare alcunché. Tantomeno la lezione, che non si apprende in banca o in borsa o in azienda, che recita che la salute è un diritto rispetto al quale siamo tutti uguali, quale che sia la latitudine del paese, il genere o più miseramente il conto in banca. Risolvere un problema cancellando un diritto invece che assumendosene la responsabilità non è una nobile operazione tecnica, ma un ignobile attentato alla giustizia.

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