di Rosa Ana De Santis

Si è suicidata Jacintha Saldanha, l’infermiera dell’ospedale King Edward VII, in cui la giovane principessa Kate era stata ricoverata per accertamenti. Caduta nello scherzo telefonico ordito da due giornalisti dell’emittente radiofonica australiana 2 DAYFM aveva messo su un piatto d’argento alla stampa i gossip più teneri sulla pancia della principessa. Mentre l’authority dei media australiana apre un’inchiesta e la regina esprime solidarietà per l’accaduto, desta stupore ed esige riflessione il clima di paura e di pressione che la 46 enne di origini indiane deve aver subito per arrivare al gesto estremo.

Non c’è stata alcuna violazione di legge riferisce la polizia australiana, ma Scotland Yard prosegue le indagini. L’infermiera, credendo di avere dall’altra parte del cavo telefonico i reali d’Inghilterra, aveva dato notizie sullo stato di salute di Kate, sulle nausee e sull’attesa dell’erede. Un’ingenuità che le era costata rimproveri e forse conseguenze pesanti sul luogo di lavoro, dove prestava servizio da quattro anni. Qualcuno smentisce, ma quel che è certo è che Jacintha deve essersi sentita intimorita e in pericolo dopo aver parlato con la finta regina, altrimenti perché togliersi la vita, lasciando la propria famiglia e due figli piccoli?. I due giornalisti sono stati sommersi da mail di biasimo e hanno avuto una sospensione. Nulla di più perché alcun codice deontologico è stato violato.

La vicenda della giovane infermiera suicida, così inaspettata e forte nella sua tragicità, restituisce un’immagine importante, in termini sociologici e simbolici, del fortissimo legame psicologico, oltre che emotivo e sentimentale, che esiste tra la monarchia d’Inghilterra e la gente comune. Un clima di condizionamento, una cappa culturale che è molto di più che esercizio di potere sulla società e che sembra impossibile resista cosi tanto e in modo così inossidabile al tempo storico e alla modernità di un paese come l’Inghilterra. Il matrimonio di William e Kate, lo sfarzo estremo in un momento severo di crisi economica che non aveva suscitato una mezza protesta dagli inglesi,  ne era stata già un’importante e recente conferma.

Si fa fatica a rendere coerente l’immagine di un paese moderno ed emancipato come l’Inghilterra con la cronaca di un suicidio che avviene nello stesso paese perché un’infermiera, non una pazza o una mitomane,  commette una leggerezza (non un errore nell’esercizio delle proprie funzioni professionali!) che forse offende la regina, il re e gli eredi. La storia sembra degna di una tenebrosa corte medievale, di un sovrano, di un vassallo e del perfido maggiordomo. Magari lo stesso che ha spaventato Jacintha e le ha promesso conseguenze penalizzanti sul lavoro. Magari la rabbia di William per quella fughe di notizie, in realtà rivolta più contro i giornalisti che contro l’infermiera.

La tesi pubblica più comoda è pensare che il suicidio di Jacintha sia solo parzialmente legato al casus belli della vicenda di Kate e dell’ ospedale. Una giovane mamma suggestionabile o, come più verosimile, una donna a rischio di perdere il proprio lavoro e sommersa di una vergogna planetaria. Un effetto collaterale imprevedibile che però racconta abbastanza bene di quale appartenenza, pre-moderna,  il popolo d’Inghilterra senta verso i propri reali.

Presto non ci sarà più alcuna memoria di questa storia e alcun accenno di realtà a turbare il quadretto della principessa e dei suoi fiori gialli all’uscita dall’ospedale, appoggiata al braccio di William. Non per omissione di giustizia o per ostacolo di verità giudiziaria, in questo caso, ma per naturale  mortalità di una donna comune al cospetto del re. E così anche nel 2012 “c’era una volta” la favola di Windsor: la prima religione di ogni buon inglese.

 

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