di Rosa Ana De Santis

Il Welfare è sotto la lente d’ingrandimento, alla tre giorni a Capodarco del X "Forum Sbilanciamoci". In questa sede non si analizza il rapporto tra la crisi e le piazze degli affari, ma tra insicurezza economica e welfare. Come al solito i servizi nel nostro Paese patiscono non tanto un’insufficienza di risorse e fondi, quanto la distorta distribuzione e le scelte economiche con cui vengono investite. Paradossalmente, nel momento storico in cui l’emancipazione delle donne dovrebbe essere definitiva, assistiamo in Italia a un ritorno ai ruoli antichi di genere come unica forma di assistenza sociale per la famiglia.
E se non sono mamme, sono nonne o donne immigrate. Non c’è scampo.

L’impegno del pubblico nel finanziamento del welfare è sempre più ridotto, molto più basso rispetto alle medie europee e spesso demandato alle scarse possibilità dei Comuni. E’ evidente come le istituzioni lo interpretino come spreco e non è un caso che sia l’ambito più tartassato dai tagli invocati in nome della crisi. Povertà, disoccupazione, disabilità sono territori quasi abbandonati e il welfare è spesso solo carità per i più bisognosi.

Il forum lavora non soltanto nella direzione di denunciare lo svuotamento del welfare , ma in quella - costruttiva e importante - di rendicontare, regione per regione, una sorta di mappa dei danni che i tagli indiscriminati possono generare nel tessuto sociale. Un esempio su tutti è quello dei centri psichiatrici e delle persone che ci vivono. Le loro storie e i loro casi sono semplicemente al buio, dimenticati e al massimo ripescati da qualche fattaccio di cronaca nera eclatante.

Il pilastro delle donne non può funzionare più come ammortizzatore dei costi delle famiglie. E’ la sociologia a confermarlo. La precarietà, conferma Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci,  a dispetto di ogni infatuazione per il mercato, è solo un valore negativo di disgregazione sociale e di pesante impoverimento del ceto medio. Il populismo dietro l’angolo ne è sul piano politico e culturale la prova più pericolosa. Continuità di reddito, nuove formule di assunzione con sgravi fiscali e servizi sociali sono l unica strada in grado di rilanciare la vita anche economica dell’Italia.

Sbilanciamoci e lo Studio Ambrosetti (che ha riunito a Cernobbio il gotha dell’impresa italiana) ricordano Davide contro Golia. Li definisce “germogli che vanno protetti”, don Vinicio Albanese, presidente della Comunità di Capodarco. Eppure i 38 anni di proposte cattedratiche dell’impresa e della politica italiana ci ha portati per mano a questi giorni di baratro economico.

Ripartire dalle persone in carne e ossa non significa abbandonarsi a romanticherie inattuabili, ma vuole dire qualcosa di molto più concreto. Sostenibilità ambientale dell’economia (vedi l’Ilva di Taranto), fine della disgregazione individualistica dei contratti di lavoro, nuovo piano di occupazione, servizi sociali per reintrodurre chi più di altri patisce la crisi del lavoro per costruire un circuito virtuoso e non una piramide sociale tra i ricchissimi e i paria. Controllo a tappeto dell’evasione per risanare i vuoti dei servizi pubblici, legalità a tutti i livelli.

Persone e non banche, economia reale e non speculazione. La crisi vera sta tutta qui: in quello che di questo Paese non si vuole, come non si è mai voluto, cambiare. Anche ora che non è più colpa dei politici che s’inventano tecnici ma dei tecnici che fanno politica.

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