di Cinzia Frassi

Si chiama Max Schrems l'artefice di una polemica affascinante che mette di nuovo al centro la questione della privacy e del tanto osannato mondo di Facebook. Affascinante perché mossa da uno studente e da un gruppo di suoi amici e anche per il fatto di essergli costata zero euro, che di questi tempi non è cosa da poco. Lo studente austriaco di 24 anni un bel giorno si è messo davanti al suo computer. Qualcosa doveva averlo insospettito, o forse semplicemente era pura curiosità di uno dei tanti smanettoni internauti del nostro tempo.

Così il ragazzo riesce a rastrellare una lista nutritissima e precisa di informazioni che lo riguardano ma, attenzione, si tratta anche di informazioni che lui stesso aveva eliminato dal suo profilo. Il giochetto funziona così: s’immagazzinano informazioni su un profilo e si mettono da parte. Perché possono tornare utili. Lo studente non ha, come si dice, scoperto l’acqua calda ma ha avuto l’intuizione di rivolgersi all’autorità competente europea, quella irlandese appunto, e di averlo fatto con ben 22 denuncie circostanziate; tutte riguardanti la gestione della privacy e della mancata minimizzazione delle informazioni nei grandi server di Facebook.

Grazie alla curiosità di Schrems, che si è rivolto all'Irish Data Protection Commissioner sottoponendo loro le sue perplessità riguardo alla violazione della privacy che aveva così subito, Facebook Ireland (con sede a Dublino) è stata sottoposta ad un inchiesta dalla quale è scaturito che la grande F ha non solo raccolto dati senza autorizzazione, ma ha escogitato un'altra "finezza": incrocia dati, indirizzi mail, localizzazioni, informazioni sensibili, importando dati anche dai servizi di instant messaging e tutto ciò che è possibile incrociare e ne ricava profili di persone che mai hanno messo piede nel vampiresco social network. Quindi Mr. Facebook mette da parte proprio tutto e non si “dimentica” più di nulla (nemmeno dei profili cancellati) e lo fa senza nessuna autorizzazione da parte dell'utente, semplicemente perché non esiste. La finezza si chiama profili ombra.

L'inchiesta scaturita grazie allo studente austriaco e voluta dal commissario irlandese intanto si è conclusa con l'obbligo di apportare modifiche alla policy per il trattamento dei dati dei cittadini europei al fine di garantire trasparenza e controllo. Inoltre, Facebook dovrà eliminare tutte le informazioni legate ai profili ombra e rivedere anche le modalità di controllo del riconoscimento automatico dei visi. Se la grande F apporterà tali modifiche eviterà i 100mila euro di sanzione pecuniaria fissata dalle autorità irlandesi. Saranno una cifra da capogiro per il social network più popolare del mondo? Stiamo parlando di un network che conta più di 700 milioni di utenti nel mondo.

La devastante portata di un giochetto, che chiamiamo social network, dalla banalità altrettanto devastante e, anche per questo, del suo incommensurabile successo, la dicono lunga circa il significato sostanziale che ha acquisito la comunicazione di massa via web e il suo sfruttamento. La dicono lunga anche sulla mancanza di sensibilità degli internauti circa la loro privacy. Siamo così gelosi di altre informazioni che ci riguardano e così poco sensibili per tutto ciò che il web e il social network succhia dalle nostre vite. In casa nostra siamo quasi maniacali, dalle tende all'impianto di allarme, affinché nessuno, nemmeno una mosca, possa entrare senza il nostro permesso. In rete è tutta un’altra storia.

E' vero anche che potremmo farci ben poco e che quel poco che potremmo e volessimo fare va a scapito della nostra serenità psicologica. Lo ha ben evidenziato il Max Schrems anche attraverso il sito che ha creato ad hoc http://europe-v-facebook.org/. Proprio in queste pagine si trovano ben chiariti alcuni punti fondamentali, tra cui questo: “Facebook sostiene spesso che tutti gli utenti hanno acconsentito al trattamento dei loro dati personali. Ma in realtà gli utenti sanno che Facebook è più che altro un sistema “opt-out”: se non cambi tutte le impostazioni preimpostate della privacy, la maggior parte dei dati privati sarà visibile senza restrizioni. Gli utenti che non sono d'accordo con questa politica di condotta devono lottare con innumerevoli pulsanti e impostazioni. Il più delle volte questo significa che più un utente vuole privacy, più saranno necessari click e maggior attenzione per ogni dettaglio. Gli utenti più anziani o senza esperienza potrebbero non essere in grado di farlo. E intanto vengono attivate automaticamente nuove funzionalità senza informare gli utenti nel modo appropriato. Anche in questo caso la legge europea sulla privacy è molto chiara: l'utente deve dare il consenso in modo inequivocabile a ogni utilizzo dei propri dati, dopo esser stato adeguatamente informato sulla forma d'uso specifica”.

Ma non sarà proprio questo il trucco? Per ogni virgola apparentemente insignificante, un minuscolo consenso. Uno, dieci, cento e mille e ti ritrovi a scervellarti per ore ed ore per flaggare questo o quello e alla fine lasci perdere. Meglio correre a vedere il proprio profilo e le ultime importanti news pubblicate dagli “amici”. Anche a costo della nostra privacy.

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