di Bruno Ballardini

Forse eravamo distratti. Forse presi da qualcos'altro, inchiodati davanti ad una partita di calcio, ipnotizzati dall'Isola dei Famosi, forse mesmerizzati da una trasmissione condotta da Maurizio Costanzo. Ma c'è una legge democratica del nostro Paese, che rischia di essere modificata in qualcosa di molto poco democratico. La legge del 22 Febbraio 2000, n. 28 recita così: Art. 2.
(Comunicazione politica radiotelevisiva)

1. Le emittenti radiotelevisive devono assicurare a tutti i soggetti politici con imparzialità ed equità l'accesso all'informazione e alla comunicazione politica.

2. S'intende per comunicazione politica radiotelevisiva ai fini della presente legge la diffusione sui mezzi radiotelevisivi di programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche. Alla comunicazione politica si applicano le disposizioni dei commi successivi. Esse non si applicano alla diffusione di notizie nei programmi di informazione.

3. È assicurata parità di condizioni nell'esposizione di opinioni e posizioni politiche nelle tribune politiche, nei dibattiti, nelle tavole rotonde, nelle presentazioni in contraddittorio di programmi politici, nei confronti, nelle interviste e in ogni altra trasmissione nella quale assuma carattere rilevante l'esposizione di opinioni e valutazioni politiche.

4. L'offerta di programmi di comunicazione politica radiotelevisiva è obbligatoria per le concessionarie radiofoniche nazionali e per le concessionarie televisive nazionali con obbligo di informazione che trasmettono in chiaro. La partecipazione ai programmi medesimi è in ogni caso gratuita.


E all'Art. 7 (Messaggi politici elettorali su quotidiani e periodici):


1. Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino a tutto il penultimo giorno prima della data delle elezioni, gli editori di quotidiani e periodici, qualora intendano diffondere a qualsiasi titolo messaggi politici elettorali, devono darne tempestiva comunicazione sulle testate edite, per consentire ai candidati e alle forze politiche l'accesso ai relativi spazi in condizioni di parità fra loro. La comunicazione deve essere effettuata secondo le modalità e con i contenuti stabiliti dall'Autorità.


Berlusconi su Il Giornale del 9 dicembre 2005 dichiarava: "Quando avremo la riforma elettorale approvata, sarà opportuno mettere sul tavolo l'impar condicio. Non credo sia giusto che un partito come Forza Italia, che ha avuto il 30 per cento dei voti ed è rappresentato in modo corrispondente in Parlamento, possa avere in televisione lo stesso spazio di un partito che magari si presenta per la prima volta. Mi sembra contrario a ciù che accade nelle democrazie occidentali". Ma dimenticava che nel 1994 Forza Italia, appena fondata, sovrastò in tv tutti gli altri partiti.

In pratica, abolendo la legge sulla par condicio, si vorrebbe applicare un criterio di lottizzazione preventiva (e proporzionale) alle intenzioni degli italiani. Proviamo a spiegarlo meglio. Se di fronte agli elettori, al momento di una consultazione elettorale, tutte le forze politiche hanno pari diritti e pari possibilità di essere scelte, qui si vorrebbe invece stabilire un criterio per cui chi ha totalizzato nella precedente legislatura il 30 per cento dei voti può aver diritto al 30 per cento degli spazi di comunicazione, mentre chi ad esempio ha il 5 per cento dovrà accontentarsi del suo 5 per cento.

E' come se per legge venisse stabilito che la Coca Cola, che detiene, diciamo, l'80 per cento delle quote di mercato, possa disporre dell'80 per cento degli spazi pubblicitari mentre un'altra bevanda che detiene una quota dell'8 per cento, avrebbe diritto a venire pubblicizzata solo in quella proporzione. E' un'assurdità che non ha nulla a che fare con la democrazia, pardon con il libero mercato. Qui interverrebbe il Garante della Concorrenza e la cosa verrebbe sistemata subito.

Ma quello che nel settore delle bevande analcoliche nessuno si berrebbe, in altri campi siamo disposti a bercelo tranquillamente senza protestare. In politica è più facile confondere il pubblico, ormai stanco e disattento, facendogli credere che ci siano tecnicismi che non può comprendere e che la democrazia per esistere abbia bisogno di regole complesse e difficili alchimie gestionali. Non è affatto così. Berlusconi ha definito "Legge bavaglio" la par condicio, perché se potesse parlerebbe soltanto lui.

Ora cosa accadrà? Appena eletto, a ottobre, Lorenzo Cesa, successore di Follini alla guida dell'UDC, aveva dichiarato: "Confermiamo il sostegno alla nuova legge elettorale, anche se l'avremmo voluta diversa, e il nostro no, senza se e senza ma, alla modifica della legge sulla par condicio". Negli ambienti di AN si pensa ad un compromesso ripristinando la legge 515 del 1993, voluta da Ciampi, che regolamentava anche rimborsi elettorali e tetti di spesa. La Lega è tiepida, ben sapendo che il "proporzionale" applicato alla comunicazione la danneggerebbe.

C'è da sperare solo che una selva di franchi tiratori cominci a decimare all'ultimo momento i voti della maggioranza, altrimenti passerà un'altra legge liberticida. Non ci consola immaginare che per l'ennesima volta il centrosinistra si allontanerà sdegnoso dall'aula. Occorre restare sul campo di battaglia fino all'ultimo sperando anche nel "fuoco amico". Pur sapendo ormai per esperienza che il fuoco amico entra in azione sempre nel momento meno opportuno. Un tempo, in guerra, quando tutto ormai era perduto si usava dire: "Mirate al cuore". Ma come si fa? Stiamo parlando del cuore della democrazia.

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