di Mario Braconi

La Apple è davvero l’azienda dei miracoli. Sui meriti (o gli eventuali demeriti) delle soluzioni tecnologiche adottate dal marchio americano, prima tra tutti l’adozione un sistema chiuso, il dibattito è aperto. Non si può negare, però, che il talento di Steve Jobs abbia trasformato idee preesistenti (formati compressi, sfruttamento della Rete in mobilità, touch screen) in prodotti dal look accattivante e dai margini elevati.

Se oggi il modo più semplice per godersi della buona musica è un dispositivo minuscolo che contiene centinaia di album; se oggi al nostro cellulare non chiediamo solo di fare telefonate, ma la possibilità di leggere la posta elettronica e di intrattenerci con giochini di dubbia utilità; se oggi uno degli oggetti del desiderio commerciale è quell’evoluzione della tavoletta dello scriba definito “tablet”: lo dobbiamo senz’altro al talento visionario di Jobs e Soci.

Il tutto senza considerare il potere subdolo che Mela Morsicata si è guadagnata installandosi d’imperio in certi segmenti superficiali dell’immaginazione collettiva. Ed è così che gli aggeggi marchiati Apple sono divenuti quasi un must-have per tutti coloro che sono veramente a-là-page, artisti (grafici, architetti, registi, musicisti) e i loro emuli; è così che fioriscono dibattiti tra persone, normalmente digiune di informatica, alcune delle quali si rivelano pronte a giurare che “Apple è un’altra cosa”; e così che molti si sono separati volentieri da diverse centinaia di euro per portare a casa un aggeggio bellissimo e tecnologicamente all’avanguardia come l’iPad, che può fare tante cose, ma nessuna in particolare.

E’ comunque certo che l’intelligenza commerciale del suo lungimirante leader abbia portato nelle casse degli azionisti di Apple una quantità formidabile di biglietti verdi. Ha fatto sorridere e anche un po’ preoccupare il fatto che le riserve di cassa dichiarate da Apple nel suo ultimo report trimestrale siano arrivate a superare il saldo liquido del Tesoro americano: troppo basse le prime, incredibilmente elevato il secondo. Mentre infatti la politica USA è invischiata nel delirante dibattito sull’innalzamento dei limiti massimi del debito pubblico americano - una dialettica nominalistica ed isterica che rischia di condurre il Paese al default - il saldo della liquidità degli Stati Uniti si è attestato attorno ai 74 miliardi di dollari; mentre sul bilancio della casa dell’iPod fanno bella mostra di sé la bellezza di 75,6 miliardi di dollari tra cassa e titoli (di cui circa 20 investiti in debito pubblico del Governo o delle agenzie pubbliche americane). Come nota l’Atlantic, una sommetta sufficiente a comprare sul mercato Goldman Sachs, che sul mercato vale poco meno di 70 miliardi di dollari...

Che cosa ha a che fare un’artista notoriamente ribelle come Bjork con una corporation americana che ha appena dimostrato con i fatti che nel mondo globalizzato del ventunesimo secolo non è poi così difficile trovare un’azienda finanziariamente più forte del governo più forte del mondo? E’ la stessa musicista islandese a spiegarlo a Charlie Burton di Wired UK, che ha la ha incontrata nella sua casa-studio di Brooklyn Heights a New York. Nei tre anni trascorsi dal suo ultimo album (Volta), abbastanza sperimentale, Bjork si è dedicata ad un nuovo progetto dall’intenso contenuto intellettuale. Nelle intenzioni dell’artista islandese, ogni composizione di “Biophilia” (ovvero “amore per la vita”) dovrebbe da un lato illustrare un concetto scientifico; e dall’altro esplorare uno specifico aspetto della teoria della musica. Ognuna delle dieci canzoni che compongono l’album pone un particolare accento su un aspetto di teoria musicale (ad esempio, arpeggio, controcanto, tempo...); ed ognuno dei brani parla di un concetto scientifico che abbia qualche assonanza con la musica. Sono nate così, ad esempio, “Crystalline”, “nella quale i cristalli si riferiscono alla complessità strutturale della composizione musicale”, e “Virus”, sviluppato su una molteplicità di frasi musicali.

 

Man mano che il progetto evolveva, nella mente della cantante islandese prese forma l’idea di una sovrastruttura da applicare sulla musica per arricchirla di contenuti anche didattici: è nata così la “casa musicale” virtuale, le cui stanze erano rappresentate dalle canzoni, le cui scale fossero in realtà scale musicali e così via. In un primo momento l’idea avrebbe dovuto addensarsi attorno ad un progetto di filmato in 3D da 40 minuti. Bjork chiamò a dirigerlo il geniale regista francese Michel Gondry (“Se mi lasci, ti cancello”, “Be kind, rewind”, “L’arte del sogno”), che però presto dovette gettare la spugna, in parte per la difficoltà del progetto ed in parte a causa del suo malaugurato impegno hollywoodiano, il pessimo “The Green Hornet”.

A quel punto, Bjork ebbe un’illuminazione: perché non realizzare il suo progetto nella forma di una costellazione di app (applicazioni) da far girare su iPad? “Le mie canzoni alla fine hanno un ritmo di 83 battiti al minuto, che è poi la mia velocità quando cammino. Tutte le persone con cui ho lavorato mi hanno presa in giro per questo. Solo attenendomi ad una scrittura in quattro quarti, verso, ritornello, verso, riesco ad evitare di dover risolvere un indovinello matematico mentre tento di cantare; per me questi due mondi [la matematica e la musica NdR] sono separati. Ma un dispositivo touchscreen dotato di un software adeguato avrebbe reso possibile comporre pezzi complessi senza dover sacrificare la spontaneità”. Quando finalmente Apple ha lanciato sul mercato l’iPad, Bjork sapeva già come l’avrebbe potuto utilizzare - ed infatti Biophilia è stato in parte realizzato tramite quel dispositivo.

Ma Bjork andò oltre: l’intero album poteva diventare una collezione di app per iPad: a quel punto, perfino alla Apple si sono un po’ preoccupati, pensando a tutti i fan non dotati del costoso giocattolo. Alla fine la cantante islandese ha raggiunto il seguente compromesso: un contratto la lega ancora alle major, ma le app sono autoprodotte, e quindi possono essere rilasciate solo quando pronte. Un bel progresso per un’artista che ha sempre vissuto con molta ansia il suo rapporto con i giganti della distribuzione, a suo dire esclusivamente interessati al profitto e burocratizzati in modo patologico.

Insomma, sembra che l’ultimo gadget di casa Apple sia perfino in grado di ispirare alcuni artisti e di fornire loro strumenti per migliorare la propria espressività. Con tutte le perplessità del caso, non ignote alla stessa Bjork, che riconosce: “molti dei miei amici sono anti-Apple, la considerano l’impero del male. Ma il mio punto di vista su questo tema non può che essere a favore della creatività. E’ un po’ come l’Inglese: i miei nonni non lo sapevano perché per loro parlare quella lingua era come mettersi immondizia in bocca. Ma certe cose vanno superate: vogliamo comunicare, sì o no?”. Una posizione interessante e che si applica molto bene, mutatis mutandis, alla relazione che l’uomo della strada ha con il potere dei signori della Rete (Facebook, Google, oltre Apple): accetta di dover fare dei compromessi (per esempio sulla privacy) pur di poter comunicare.

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